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Roma. Tranquilla giornata agostana. Nel pomeriggio, i turisti ammirano i monumenti della città eterna. A piazza San Pietro pellegrini da ogni dove, in cerca di una remota possibilità di incontrare il Papa. Scene di ordinaria routine. Eppure qualcosa di diverso, di insolito, di enormemente inaudito, sta per accadere: in lontananza per le strade che portano alla chiesa Don Bosco, si intravedono sei cavalli neri che trainano una carrozza antica, una folla di gente che accompagna la bara e la banda musicale che intona il celebre motivo di Nino Rota, indimenticabile colonna sonora del Padrino di Francis Ford Coppola. Questo però non è un film e non è nemmeno un funerale di un mammasantissima nella Sicilia degli anni ’50. Siamo a Roma, ed è qui che familiari e amici si sono radunati per dare ultimo saluto a Vittorio Casamonica , uno dei boss principali del clan che porta il suo nome.

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“Hai conquistato Roma ora conquisterai il paradiso” recita un manifesto all’entrata della Chiesa. Il suo volto in primissimo piano, vestito di bianco e con il crocifisso al collo, il Colosseo e la Cupola di San Pietro sullo sfondo, e la scritta “Re di Roma” a caratteri scatolati per omaggiare un pezzo da Novanta del clan che nella Capitale gestisce il racket delle estorsioni e dell’usura nella periferia sud est di Roma. Un funerale in cui la parola d’ordine sembra essere una sola: mettere in scena tutto lo sfarzo possibile. E infatti il feretro del boss Casamonica viene trascinato dalla carrozza per le strade della capitale, quasi fosse un capo di Stato, mentre un elicottero lancia petali rossi sulla folla di presenti, che applaude e lancia grida di commiato verso la bara del defunto. Che alla fine viene caricato su una Rolls-Royce, come uno di quei ricevimenti funebri italo americani resi celebri da Hollywood, mentre la banda musicale suona la colonna sonora di un altro celebre film: “2001 Odissea nello spazio”. 

Un funerale, quello di Vittorio Casamonica, del quale non era stata informata la prefettura. ”Di questa vicenda la prefettura non aveva alcuna contezza. Ne chiederemo conto, per cercare di capire, al di là dei clamori, eventuali responsabilità”, promette il prefetto Franco Gabrielli. ”È un episodio, continua, che non va sottovalutato, ma neanche amplificato. Resta il fatto che saranno compiuti degli accertamenti. In base all’esito sarà presa una decisione”. Il clan dei Casamonica è composto da famiglie sinti, etnia nomade ormai presente da decenni in Italia, originario dall’Abruzzo. Poi, negli Settanta si trasferiscono a Roma dove iniziano a specializzarsi nel racket e nell’usura nella periferie sudest della Capitale. Negli anni Novanta fanno il salto di qualità, s’inseriscono nel mercato degli stupefacenti, prendono il sopravvento nella zona tra Anagnina e Tuscolano, si alleano con i clan dei Castelli, con alcuni affiliati alla ‘Ndrangheta dei Piromalli e Molè, con uomini della Banda della Magliana.

Ed è proprio con la Banda che inizia il suo cursus honorum Vittorio Casamonica negli anni ’70: risultava l’addetto al recupero dei crediti, aveva rapporti con Enrico Nicoletti, il cassiere di De Pedis e soci, e negli anni ’80 viene accusato di decine di sequestri di persona (in seguito verrà assolto). Poi negli anni duemila il clan viene preso di mira dalle indagini della magistratura: decine di arresti tra il 2004 e l’operazione Mondo di Mezzo, sequestri patrimoniali da decine di milioni. Uno coinvolge anche lui: in casa gli trovano vasi archeologici provenienti chissà da dove. Come dire che il lusso sfarzoso a Vittorio Casamonica è sempre piaciuto: e adesso che se ne è andato, ha voluto ricordare a tutti di quello di cui era capace. Un addio tra sfarzo e lacrime di familiari e amici, macchine di lusso e cavalli neri, petali di rosa ed elicotteri: quasi fosse un principe. Anzi un re: il Re di Roma.

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Ripropongo volentieri a commento dei fatti avvenuti a Roma, alcuni stralci di un’intervista da me realizzata a Mons. Antonio Raspanti vescovo di Acireale: Cosa c’entra tutto questo con la Chiesa? Quali sono le sue responsabilità?

"E’ stata più volte sottolineata l’incompatibilità tra Vangelo e gruppi malavitosi. Tutte le organizzazioni malavitose  - soprattutto quelle a carattere mafioso-, sono un vero e proprio sistema perverso. Mettono al primo posto il potere ad ogni costo. Non guardano la dignità dell’uomo. Come stile di vita usano la violenza, l’uccisione, la menzogna, l’inganno, i tradimenti. L’unità di misura non è il diritto e la ragione. E’ soltanto quello che pensa il più forte. Perché gli interessi e gli scopi che vuole raggiungere si ottengono solitamente con il ricatto e l’omicidio. Tutto ciò è radicalmente antiumano, anticristiano. Dunque, non è solo incompatibile con il Vangelo, ma è antitetico nei confronti della società fondata sul diritto, sulla ragione, sulla giustizia, sui principi della sana moralità".

Perché la religiosità è usata per legittimare l’azione mafiosa?

"Talvolta la religiosità è usata per secondi fini da alcuni appartenenti alle associazioni mafiose. In parte, per una sorta di “credo” e di radicamento culturale. Infatti, la maggior parte di queste persone “mafiose” -soprattutto lungo tutto il novecento-, provengono da regioni dove la cultura cristiana è stata dominante. Dunque, anche loro sono stati educati “dentro” il cristianesimo, che naturalmente hanno stirato e modellato secondo i propri ideali e stili di vita, storpiandolo a modo loro. Perciò, da una parte sono dentro una mentalità Cristiana, e la usano per i loro scopi e fini, in maniera inconsapevole. Dall’altra se ne servono consapevolmente per apparire o per legittimare un potere, un dominio, una visibilità pubblica e sociale. Ad esempio: Il momento della festa del patrono è un grande momento di visibilità. Rappresenta un’occasione in cui viene esercitato un certo potere da parte di alcune personalità.  Se il mafioso “entra” nell’organizzazione e nella realizzazione della festa del patrono, o di cose simili, fa parte di quella “strategia” volta ad accrescere il potere sociale dinanzi a quelli che festeggiano. Da questo punto di vista c’è stata una vera e propria strumentalizzazione".

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Non possiamo dimenticare il luminoso esempio lasciato da don Pino Puglisi, martire della fede e testimone del Vangelo, in uno dei quartieri più abbandonati di Palermo. La Chiesa non si identifica con chi ancora oggi la strumentalizza per realizzare i propri scopi. Essa segue l’esempio di quanti nel corso del tempo, hanno donato la vita per combattere la mafia in nome della legalità e della giustizia:

“Don Pino Puglisi ha lasciato a tutti noi una grandiosa eredità. Egli ci ha detto in maniera limpida e trasparente che la fedeltà al Vangelo è di gran lunga superiore a qualunque altro potere terreno. 3P (Tre P, significa: Padre Pino Puglisi era il diminutivo affettuoso che i giovani rivolgevano al sacerdote, ndr.), via via, giorno dopo giorno, educava i giovani della sua parrocchia a uno stile di vita, comportandosi lui per primo in maniera coerente. Nella personalità di don Giuseppe è emerso un quadro coerente di fedeltà a Gesù e alla sua Parola. Da questo punto di vista è andato a cozzare contro una prepotenza mafiosa che lo ha eliminato. Il martirio subito, indica una speciale fedeltà al Vangelo ad ogni costo”.

Mons. Raspanti nella sua diocesi, ha emanato un decreto specifico per i funerali dei mafiosi, chiudendo una questione dolorosa e antievangelica:

“Nella diocesi è stato emanato questo decreto che vieta i funerali in Chiesa a persone non genericamente legate alle associazioni mafiose ma che sono state giudicate in via definitiva dallo Stato per la loro l’appartenenza all’organizzazione mafiosa. Il decreto è una chiarificazione di quanto la Chiesa siciliana aveva già stabilito dal 1982, comminando la scomunica agli appartenenti alle associazioni mafiose e ai loro affiliati. Il codice di diritto Canonico, esplicita il rifiuto delle esequie per alcune persone, tra le quali è chiaramente possibile classificare quelle persone mafiose. Infatti è specificata l’aggravante della negazione del rito funebre, qualora ci siano dei peccatori pubblici che hanno avversato il Vangelo -come nel nostro caso-, rendendosi autori di gravi delitti pubblicamente conclamati”.

La denuncia del Cardinale Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo, contro la mafia e lo stato ripiegato in stesso, ai funerali del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa: dal minuto 7:42 scorrono le immagini di quel triste rito funebre e le parole (dal minuto 8:38 al minuto 8:46), della famosa omelia che cadde sui presenti come un macigno: "mentre Sagunto viene espugnata, a Roma si pensa il da farsi, e questa volta non è Sagunto, ma Palermo". 

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Non possiamo dimenticare il famoso discorso del 09 Maggio 1993 di San Giovanni Paolo II, nella valle dei templi ad Agrigento. La Sicilia era scossa per gli innumerevoli omicidi di tanta gente onesta. La Chiesa sembrava chiusa nel silenzio. Ma non era così. Dietro le quinte tanti sacerdoti come don Pino Puglisi, che proprio in quell'anno sarà ucciso, lavoravano per costruire un mondo migliore fondato sul Vangelo e non sulle strutture perverse della Mafia. Papa Woytila, in quell'occasione, alla fine della Messa, pronunciò un fortissimo appello alla conversione: "Mi rivolgo a quanti portano nella coscienza tante vittime umane, devono capire che non si permette di uccidere innocenti. Dio ha detto una volta: "non uccidere". Non può uomo, qualsiasi agglomerazione, Mafia, non può calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, non può vivere sotto la pressione di una civiltà della morte. Lo dico ai responsabili: "convertitevi". Una volta verrà il giudizio di Dio". 

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Ora dalla Chiesa di Don Bosco, attendiamo chiarimenti e prese di posizioni limpide, chiare e trasparenti, per la maggiore gloria di Dio e l’edificazione del popolo.

Don Salvatore Lazzara

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