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Alla luce delle dichiarazioni di mons. Charamsa - il quale ha chiesto la “revisione della dottrina” sui gay e di conseguenza sull’istituto familiare, e poi ancora ha accusato la Santa Sede e in modo particolare la Congregazione della Dottrina della Fede di “omofobia” - riemerge come in uno specchio limpido l’omelia tenuta da Benedetto XVI ai primi vespri in occasione della chiusura dell’anno paolino, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo. Il testo ricordava la giusta interpretazione della fede in rapporto al Magistero, per non cadere negli errori che “sporcano” in modo violento la veste nuziale della Sposa di Cristo. Ancora non si trova una spiegazione logica in “cosa” la Chiesa debba cambiare per “soddisfare” le voglie dell’io, trasformate in diritti inalienabili dell’uomo. E’ il tranello del relativismo, che ha portato il teologo a confondere i propri sentimenti con il Vangelo:

“La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma scegliecamicia3 autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. È la fede che egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo. La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo”.

Risulta problematica l’assurda pretesa, “adesso”, quando per anni ha celebrato l’Eucaristia forse fingendo di appartenere totalmente a Cristo, o pensando che il buon Dio si accontentasse di una appartenenza superficiale, la pretesa, dicevo, di identificare la sua personale causa con quella della Chiesa. Io, soprattutto di questi tempi, ho grande stima degli atei, sì proprio degli atei, perché hanno il coraggio (e la libertà che Dio offre a tutti, anche a me) di prendere le distanze da una fede verso la quale dicono di non credere; nessuno di loro pretenderebbe di cambiare una “virgola” del nostro Credo solo perché quella “virgola” non si abbina al colore della loro cravatta! E poi, gentile Krzysztof Charamsa, almeno durante la sua conferenza stampa il colletto bianco da sacerdote poteva fare a meno di indossarlo.

camiciaUn grande maestro – che tanti teologi farebbero bene a riprendere e a studiare – oltre cinquant’anni fa scriveva: “non mancheranno mai coloro che sono pronti ad identificare così perfettamente la loro causa con quella della Chiesa, da finire per ridurre in buona fede la causa della Chiesa alla loro. Non immaginano neppure che per essere servi veramente fedeli dovrebbero modificare parecchie cose in se stessi. Vogliono servire la Chiesa, ma intanto la mettono al loro servizio […] La Chiesa in pratica è per essi un certo ordine di cose col quale si sono familiarizzati e di cui vivono. E’ un dato tipo di civiltà, un certo numero di principi, un determinato complesso di valori che la sua influenza ha più o meno cristianizzati ma che, in gran parte, continuano a rimanere umani. Tutto ciò che turba quest’ordine o compromette questo equilibrio, tutto ciò che li preoccupa o più semplicemente li stupisce è ai loro occhi un attentato contro l’istituzione divina” (H. De Lubac, Meditazione sulla Chiesa).

Fa un certo effetto scoprire oggi, alla luce del suo coming out, come nel 2003 l’intervento dal titolo “Davvero Dio soffre? La Tradizione e l’insegnamento di San Tommaso”, scritto da monsignor Charamsa, abbia trovato spazio nei fascicoli monografici “Sacra Doctrina” delle Edizioni Studio Domenicano, ossia la casa editrice bolognese diretta da padre Giorgio Carbone, il religioso le cui parole di contrarietà alla teoria gender e alle coppie omosessuali, pronunciate qualche settimana fa al Meeting di Rimini, hanno destato uno scandalo tale da indurre gli organizzatori della kermesse ciellina a sospendere quegli incontri pubblici.

Monsignore, forse pensava di usare i giornali per scuotere la Chiesa in prossimità del Sinodo? Non si è reso conto che è stato ed è usato da loro? E’ lecito rivolgere al sistema mediatico le seguenti domande: se, in vista dell’assemblea sinodale, una coppia di anziani sposi vi avesse chiesto di raccontare la loro storia, fatta di fedeltà, anche se fragile e sofferta, di coerenza nella professione delle proprie idee, di accompagnamento generoso dei propri figli e nipoti e di quelli di altri, l'avreste raccontata? No, perché "fa notizia" l'uomo che morde un cane, non viceversa; ma, a forza d'inseguire questo principio idiota, vi state rendendo conto di trasformare in regola l'eccezione e di disegnare l'immagine di una Chiesa cupa, narcisista, paurosa, viziata e fuori moda, che forse non assomiglia per nulla al paese reale?

Caro don Krysztof, il tuo problema non è l'omosessualità, ma la fede. Ti è sfuggito di mano il dono, quanto l'esercizio delle virtù teologali, per non parlare delle responsabilità pastorali e “ministeriali”. Non ticamicia4 sei fidato dell'amore, né della misericordia. Ed è questo che ci fa male. Immagino tu non abbia il voto di castità (non mi risulta tu sia un religioso), ma la promessa di celibato, il che significa che il vincolo allo stato di “single” - mi si perdoni la riduzione - riguarda la tua coscienza e la tua testimonianza, che sarebbero state in “difetto” anche se la relazione fosse stata etero. Tuttavia, sai bene che il VI comandamento non vieta la sessualità extraconiugale (sia essa prima o durante il matrimonio), ma guida nell'incontro con Cristo e, nel riconoscersi figli di Dio, suscita il desiderio profondo di vivere tutta la propria storia alla presenza di Dio, nella fattispecie la sessualità, dono meraviglioso e preziosissimo (nella Genesi, al fianco dell'uomo è stata posta la donna come completamento del disegno divino della creazione ordinata e feconda).

Ti sei espresso in termini di “diritti” (tuoi) e di “doveri” (della Chiesa), trascurando che nell'amore vivono entrambi nell'assoluta reciprocità. In noi non hai suscitato che tenerezza, forse pietismo - e questo mi fa meno piacere -, ma non stai facendo giustizia. L'omosessualità non è affatto bandita dal cuore di Dio, né da quello della Chiesa. Ma è necessario lo stato di grazia. E anche su questo, probabilmente, sei ben “preparato”. Sei stato colpito nella tua vocazione. Il Buon Dio ti fornisca gli strumenti per vedere ed agire di conseguenza. Se alcuni omosessuali ritengono che la Chiesa sbagli, ne escano pure, tanto non rischiano nulla; ma quando pretendono di imporre aggressivamente e chiassosamente la propria opinione alla Chiesa, non difendono la tolleranza, bensì propagano l’intolleranza.

Ecco perché, a termine della riflessione, non possiamo dimenticare le parole di San Paolo ai Galati (1,8-10): «Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!».

Don Salvatore Lazzara - Michelangelo Nasca

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