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Negli ultimi mesi il tema dell’immigrazione, ha incendiato il dibattito politico ed ecclesiale. I toni a volte strumentali, non permettono di avere una visione chiara del fenomeno che sta coinvolgendo milioni di persone e “l’altra parte del mondo”, che non è pronta ad accogliere un flusso così importante di persone provenienti dai paesi più poveri del sud del mondo, a motivo delle differenze culturali e religiose (la parte più significativa degli immigrati è di fede musulmana). Papa Francesco, continua ad esortare ad “accogliere” quanti scappano dalle guerre, dalla fame e dalle persecuzioni. Ricordando ai credenti l’invito di Gesù ad “ospitare lo straniero”. Non mancano le critiche all’atteggiamento pontificio, che se non viene letto nella giusta direzione rischia di cadere nel vuoto e produrre effetti devastanti sia per chi fugge, sia per chi ha il dovere umano ed evangelico di ospitare. Non si tratta di valutare opinioni politiche di destra o sinistra. O di strategia italiana, o europea, o americana. O di approccio antropologico esclusionista-razzista o inclusionista-irenista. Si tratta di riflettere oggettivamente e scientemente su un attuale duplice fenomeno storico che è sofferto, tangibile, innegabile, (nel mentre che scriviamo queste parole tanti fratelli, sorelle, bambini, muoiono nelle acque della presunta libertà), e che ha pochi precedenti nella storia mondiale: 1) La massiccia immigrazione di profughi fuggiti da guerre e miserie, di cultura prevalentemente islamica, nell’Europa di tradizione cristiana (sono centinaia di migliaia i richiedenti asilo); 2) La crescita dell’Islam radicale, con recrudescenza di aggressioni e attentati da parte di fondamentalisti islamici nei confronti dell’occidente, ad oggi incapace di elaborare strategie per dare risposte sicure e concrete alle nuove strutture sociali che si creano.

Dall’altra parte, sarebbe illogico e insensato “accogliere” tutti indiscriminatamente (che non è la classica affermazione per essere accusati di razzismo e di remare contro gli inviti del Papa), inclusa la minoranza di persone radicali e fondamentaliste islamiche che non fuggono da guerre e miseria, ma si presentano alle coste e frontiere europee con l’intento di “gettare il terrore nei cuori dei miscredenti” (Corano 8,12), assoggettare le donne che costituiscono “la maggior parte degli abitanti dell’Inferno di Fuoco” (hadith Al-Bukhari 1,301 e altri), e cercano di “uccidere, catturare, assediare, tendere agguati” gli infedeli (Corano 9,5). Passi che, va precisato, gli "islamici moderati" si guardano bene dal prendere alla lettera.

Il Cardinale Giacomo Biffi, a suo tempo parlò con realismo, sul tema immigrazione e disse una cosa di assoluto buonsenso: l’immigrazione va governata. Cioè, niente barriere ma nemmeno “accoglienza ad occhi chiusi”. La carità deve essere quella dei Santi, concreta e possibile, sennò è demagogia ideologica o stoltezza. E disse, il porporato bolognese, che gli immigrati di cultura cristiana sono “meglio integrabili” dei musulmani. Fu subissato dalla canea dei farisei, buonisti o clericali, col solito argomento-fesseria di “quando i migranti eravamo noi”. Bugia strumentalizzata dai radical chic (quelli che  in estate non hanno voluto accogliere i profughi a Capalbio), perché, quando i “migranti” eravamo noi italiani, chi ci accoglieva usava proprio i criteri indicati da Biffi: contingentamento e selezione etnica. Per quanto riguarda lo scandalo prodotto dal Cardinale sulla presunta “discriminazione religiosa” vogliamo in questo contesto esaminare per questione di spazio il piano strettamente economico. Ci sono Paesi islamici che traboccano di ricchezza: come mai non accolgono loro i fratelli di fede e nel bisogno? Anzi, come mai questi ultimi non ci pensano nemmeno a migrare verso quei lidi ma preferiscono il nostro? Siamo “crociati”, “infedeli”, “moralmente corrotti”, eppure è qui che vengono. Tutti. Le monarchie del petrodollaro sono le maggiori acquirenti di armi al mondo, hanno tanti di quei soldi che non sanno, letteralmente, che farsene. Abbiamo visto tutti, a suo tempo, le immagini dei profughi kuwaitiani che fuggivano su lussuose Volvo dall’invasione di Saddam. Sauditi, kuwaitiani, qatarini eccetera, hanno redditi procapite da capogiro e davvero, anche se spostassero la seggiola per aggiungere un posto a tavola all’amico in più, starebbero comodi. Invece, costruiscono muri, mica ponti. Non vogliono poveri tra i piedi, nemmeno correligionari. E i poveri, anche se correligionari, da loro non ci vogliono andare. Preferiscono vivere tra gli atei post-cristiani che sotto la sharìa. Dove è possibile fare un'opera di proselitismo senza troppi intoppi. 

Cosa fare concretamente per i profughi (immigrati irregolari, rifugiati politici, richiedenti asilo, ecc...)? Lo spiega il Card. Onaiyekan, il quale durante una conferenza sulla "Tratta degli esseri umani", ha esortato a convincere i giovani africani a non emigrare: “Emigrare non è una soluzione ai problemi dei giovani africani; occorre piuttosto creare posti di lavoro, rilanciando le economie locali con provvedimenti efficaci”. Il porporato, arcivescovo di Abuja e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, nazione con oltre 175 milioni di abitanti, in gran parte giovani, ha fatto il seguente rilievo: “L’immigrazione come tale non è il problema! Il problema è la tratta degli esseri umani, perché la gente si trova in situazione di grande necessità e impotenza. Certo, sono tanti i nigeriani che adesso si trovano in Europea e in America, che hanno un lavoro, che sono ben istruiti e che contribuiscono alla vita del Paese in cui vivono; ma il problema è quello dei tanti giovani, che in Nigeria sono disoccupati, che non hanno nulla da fare e che credono che non sia possibile rimanere in una situazione senza un futuro e senza speranza. L’alternativa - secondo me - è trovare il modo di dare loro la possibilità di vivere con un po’ di speranza e di decenza [dignità] a casa loro e cioè in Nigeria. Dobbiamo chiedere al governo di fare tutto ciò che è necessario”. Dunque accogliere si, ma allo stesso tempo, è dovere delle nazioni aiutare i popoli in difficoltà a vivere serenamente nelle loro case. Garantendo la sicurezza e la stabilità economica, a quanti oggi vivono in condizioni disperate.

Anche il Papa Emerito, suggeriva, nel messaggio per la giornata mondiale del migrante del 2013: “ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono”.

DonSa

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