Giovanni Paolo I (Papa Luciani) - Gruppo di famiglia

Signora Pia, la ringrazio per aver acconsentito di dialogare con noi sulla figura dell’illustre parente. Il 26 Agosto veniva eletto inaspettatamente al Pontificato, Albino Luciani, Patriarca di Venezia. Cosa ricorda di quel momento storico?

Anch’io ho condiviso l’emozione della famiglia e dei compaesani per l’onore che era stato riservato allo zio Albino e quindi a tutta la famiglia. Mio padre, a dire il vero, se lo aspettava, spesso aveva detto: “una volta o l’altra l’Albino ce lo portano via… è una persona troppo speciale…”. In un certo senso, però, per noi era stato anche un dispiacere. Ad ogni promozione, infatti, si era allontanato sempre più da noi… prima Vittorio Veneto, poi Venezia ed infine Roma… sarebbe stato più difficile raggiungerlo… Lui, d’altra parte, come al solito, con noi continuava a schermirsi, dicendo di non aver fatto assolutamente nulla per arrivare a quell’incarico che, se da una parte era un grande onore, portava con sé un grossissimo impegno.

Albino Luciani sacerdote, Vescovo, Patriarca e poi Papa, come viveva la sua “vocazione” in famiglia?

In famiglia, le volte che riusciva a venirci, continuava ad essere sempre lo stesso: noi nipoti lo chiamavamo zio Albino, mio padre, Albino, gli altri, don Albino; lui era sempre affabile con tutti, ma in modo particolare con noi nipoti. Ci chiedeva di noi e delle nostre attività, scherzava un po’, ci offriva il gelato o le caramelle, chiedeva al segretario di portare i più piccoli a fare un giro con la sua macchina mentre lui parlava con suo fratello, ci raccomandava soprattutto di essere buoni. A me, in particolare, diceva che essendo la maggiore avevo delle responsabilità anche verso i miei fratelli. “È come quando, in cordata, si sale sulla cima della montagna: se il capo cordata va avanti bene, tutti gli altri seguono sicuri, se il capo cordata sbaglia, si disorientano anche quelli che lo stanno seguendo”. Con il Fratello, mio padre, aveva anche un rapporto di profonda amicizia. A lui confidava le difficoltà del suo ministero, i problemi che incontrava, ma riferiva anche la generosità e la bontà di molti suoi conoscenti. Era partecipe nei momenti più importanti della famiglia. Aveva battezzato me ed i miei fratelli, ha poi benedetto le nostre nozze e battezzato i nostri figli. Nel castello di Vittorio Veneto, la sua residenza di allora, abbiamo celebrato, tutti insieme, il venticinquesimo di matrimonio dei miei genitori. In conclusione, Lui era sempre presente nei nostri momenti di gioia, ed un solido sostegno nella sofferenza.

Udienza col fratello Edoardo

Quali sono i ricordi del sacerdote Luciani quando era ancora a servizio della Diocesi di Belluno?

Nonostante il suo sogno fosse di diventare parroco in un piccolo villaggio vicino al paese natale, dove il lago adiacente avrebbe fatto ricordare alla sua mamma quella Venezia in cui lei aveva lavorato prima di sposarsi, non era mai riuscito a realizzare quel suo desiderio. Dopo aver fatto un breve periodo come cappellano prima a Canale e poi ad Agordo, era stato chiamato come vicerettore del seminario, poi come pro vicario ed infine come vicario generale della diocesi, prima di essere nominato vescovo. Aveva però sempre cercato di mantenere i rapporti con la gente usando il suo tempo libero per confessare, seguire i ragazzi che frequentavano la zona intorno alla cattedrale, aiutare i poveri, visitare i malati.

Come ha vissuto la nomina a vescovo di Vittorio Veneto?

Come per gli altri incarichi precedenti, ai quali personalmente non teneva affatto, anche la nomina a Vescovo era stata per lui semplicemente una chiamata del Signore, arrivata tramite la richiesta dei superiori, cui era necessario obbedire, e lui, dopo qualche tentativo per evitarla, aveva risposto con generosità.

Negli anni in cui fu eletto Patriarca di Venezia, l’Italia di allora (come quella di oggi) attraversava un periodo di crisi molto forte. Luciani, nonostante le forti pressioni, non si piegò alle idee correnti, battendosi apertamente contro l’istituzione del divorzio con la legge del 1974. Pertanto non esitò a condannare le associazioni cattoliche che si erano schierate apertamente a favore del divorzio. Ricorda qualche particolare di quei momenti difficili?

Sì, a quel tempo era molto teso per le decisioni che, in coscienza, si sentiva di dover prendere, ma alle quali avrebbe preferito non essere costretto. È stato per lui un momento di grande sofferenza. Il suo segretario, don Mario Senigallia, lo accompagnava talvolta a casa nostra, dove poteva distrarsi un po’ con noi, suoi nipoti e sfogarsi facendo le sue confidenze al fratello che sempre lo ascoltava e lo sosteneva. Era una persona molto buona e dolce, di vasta ed eclettica cultura, grande intelligenza e profonda fede, che voleva bene alle persone, oltre che al Signore, ma, nonostante le apparenze, era dotato anche di un carattere molto forte che sapeva ben usare quando era necessario. Mio papà diceva che aveva un pugno di ferro in un guanto di velluto.

Giovanni Paolo I, il Papa del sorriso - La Grande Storia - RAIGiovanni Paolo I, il Papa del sorriso - La Grande Storia - RAI

Al di là degli episodi ufficiali che tutti conosciamo, può raccontare come viveva giornalmente la vita pastorale il Patriarca di Venezia nel contatto con il popolo e i sacerdoti?

Si alzava molto presto la mattina per poter pregare prima di partire, se aveva qualche impegno fuori, o prima che arrivasse gente a cercarlo. La sua porta, infatti, era sempre aperta all’accoglienza di qualunque persona, che lui riceveva personalmente ed ascoltava pazientemente, sebbene poi si facesse aiutare dal segretario in qualche situazione particolare. Preferiva spostarsi a piedi, nelle calli veneziane o in vaporetto, vestito della semplice talare nera, anello e croce pettorale in tasca (suor Celestina, che era addetta al guardaroba, si lamentava un po’ perché trovava sempre l’interno delle tasche da rammendare!), come un semplice sacerdote, per poter avere un contatto diretto con la gente. Durante le visite nelle parrocchie non mancava di fermarsi nelle case dei malati che, spesso, se indigenti, si ritrovavano una busta sotto il cuscino dopo la partenza del loro Vescovo e Patriarca. Amava molto, come un padre, i suoi seminaristi ed i suoi sacerdoti, sebbene qualcuno di loro gli avesse dato qualche preoccupazione.

Nelle Biografie, viene descritto come un appassionato catechista, capace di farsi comprendere da tutti, anche dalle persone di poca cultura. Ricorda qualche “catechesi inedita” da trasmettere ai lettori? Secondo lei per la Chiesa di oggi è ancora valido il modello di evangelizzazione adottato da Luciani in un mondo sempre più ostile agli insegnamenti del Magistero?

Questo suo impegno alla semplicità nella comunicazione, utilizzando anche qualche aneddoto per vivacizzare il discorso, risaliva a quando era seminarista. Mi raccontava che quando per la prima volta aveva ricevuto l’incarico di comporre un articolo per il giornalino parrocchiale, aveva messo in questo lavoro tutto il suo entusiasmo, il suo impegno e, naturalmente, il frutto concreto dei suoi studi teologici e filosofici. Il suo parroco, dopo averlo ampiamente lodato per l’impegno, gli aveva chiesto “secondo te questo bellissimo scritto potrà essere compreso da quella vecchietta che abita l’ultima casa del paese e sa appena leggere e scrivere?” Prova a riscrivere quello che hai fatto pensando a lei… Da allora i suoi sforzi erano sempre andati in questa direzione. Diceva che è importante che la gente capisca almeno poche cose essenziali: che dobbiamo guardare la realtà in positivo, cercando il buono anche nelle situazioni peggiori, con speranza ed ottimismo, perché c’è Dio che ci ama e vuole il nostro bene, conosce le nostre debolezze e ci perdona ogni volta che, pentiti, Glielo chiediamo. Egli desidera che, per amor suo, vogliamo bene a chi ci sta intorno, con pazienza e generosità. Diceva: “Qualcuno diventa santo facendo grandi cose, sono santità eccezionali, ma si diventa santi anche vivendo giorno per giorno con impegno ed amore verso Dio e verso tutti gli altri, nel posto in cui la Provvidenza ci ha messo”.

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Luciani da Vescovo e Patriarca ebbe sempre una particolare attenzione per la Chiesa africana e quella sudamericana. Questo trasporto missionario non fece che aumentare la sensibilità del futuro Papa riguardo ai problemi delle popolazioni del terzo mondo. Cosa ci può dire in merito?

Lo zio era sempre stato sensibile verso i problemi del cosiddetto “terzo mondo”, ma ne era rimasto particolarmente scosso dopo aver visitato i suoi sacerdoti “Fidei donum” in Africa, per aver toccato con mano, vivendo in mezzo a loro per alcuni giorni, la povertà della gente. Per questo, oltre ad aver sempre incoraggiato le attività che potevano dare un po’ di sollievo a queste situazioni, accoglieva spesso in casa vescovi che provenivano da quei paesi (Africa, America Latina), aiutandoli per quanto possibile, a cominciare dal vescovo africano che era stato consacrato insieme a lui nella Basilica di San Pietro da papa Giovanni XXIII.

Come ha vissuto il suo rapporto di pastore con Giovanni XXIII e Paolo VI?

Li ha apprezzati ed amati entrambi (tanto da assumere il nome dell’uno e dell’altro in modo da continuare a prenderli come esempio), due personalità completamente diverse ma molto importanti per la Chiesa alla quale avevano dato tutto ciò che occorreva nel loro momento. Come ha detto nel primo discorso:

“Papa Giovanni ha voluto consacrarmi con le sue mani qui nella Basilica di san Pietro… Venezia è ancora tutta piena di papa Giovanni, lo ricordano i gondolieri, le suore, tutti…” Papa Giovanni aveva “la Sapientia cordis”  il dono di raggiungere e toccare con immediatezza il cuore della gente ogni volta che parlava…” Papa Paolo, non solo mi ha fatto cardinale, ma alcuni mesi prima, sulle passerelle di San Marco, mi ha fatto diventare rosso davanti a ventimila persone, perché s’è levato la stola e me l’ha messa sulle spalle… d’altra parte, in quindici anni di pontificato questo papa, non solo a me, ma a tutto il mondo ha mostrato come si ama, come si serve, come si lavora e si patisce per la Chiesa di Cristo…”.

Con quale stato d’animo partì da Venezia per il Conclave che poi l’avrebbe eletto Pontefice?

Secondo me era trepidante, anche se sperava non succedesse quello che temeva: Certamente sentiva, da persona intelligente qual era e sapeva quindi leggere i segni, che con molte probabilità sarebbe toccato a lui (…è possibile affermarlo, anche senza fare alcun riferimento al discorso di suor Lucia, la veggente di Fatima, di cui nessuno mai ha conosciuto il contenuto!). Alla suora di Venezia che, al momento della partenza, gli diceva: “Eminenza e se non torna più e lo tengono a Roma?” aveva risposto: ”…Ma si può anche dire di no!”. Non l’aveva mai fatto prima, non l’avrebbe fatto nemmeno in quella occasione… e così è stato.

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Quali sono i ricordi del primo incontro con la famiglia dopo l’elezione a Successore dell’Apostolo Pietro?

È stato molto commovente, (noi, parenti stretti, eravamo tutti lì con lui, i due fratelli i due cognati, i nipoti, i piccolissimi pronipoti… per noi era sempre l’Albino e lo zio Albino) soprattutto quando sua sorella, la zia Nina, ha detto: ”Albino, ti immagini se fosse qui la mamma? Ti ricordi che si vantava con noi di aver visto passare in piazza San Marco il cardinale Giuseppe Sarto che poi sarebbe diventato papa Pio X, quando lavorava a Venezia!?”.

Giovanni Paolo I viene ricordato dalla Chiesa e dal mondo con gli affettuosi appellativi: “Papa del sorriso” e “Sorriso di Dio”. Lei come ama ricordarlo?

Io continuo a ricordarlo come lo zio Albino; lo zio affettuoso, gentile, che ci insegnava non con prediche ma col racconto di aneddoti, barzellette e dolci richiami. Lo zio che sorrideva alle nostre ingenue battute di bambini; lo zio che per me è stato un secondo padre e che vedendomi piangere, dopo avermi accompagnato, ancora ragazzina, in collegio per gli studi, mi aveva detto con il suo immancabile sorriso: “Non piangere, io ti sarò sempre vicino con la mia preghiera e, se avrai desiderio di scrivermi, io troverò sempre il tempo per risponderti, nonostante i miei impegni” … e la promessa è stata mantenuta… Era un sorriso voluto, anche nei momenti in cui aveva una sofferenza in cuore, per mostrare il suo affetto verso chi aveva di fronte, per incoraggiare alla gioia ed alla serenità e non far pesare sugli altri i suoi pesi.

Il 3 settembre 1978 dopo l’elezione, ai bellunesi disse: “è stato ricordato dai giornali, anche troppo forse, che la mia famiglia era povera. Posso confermarvi che durante l’anno dell’invasione ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame”. Una dichiarazione insolita, per quei tempi, che sicuramente lasciava presagire il suo impegno nei confronti degli ultimi e degli indifesi…

Certo, avrebbe continuato come prima, non solo invitando tutti a condividere con chi ha bisogno, ma facendolo di persona, arrivando fino al punto di mangiare molto morigeratamente, e risparmiare anche facendo rammendare tonache, camicie e calzini finché non resistevano più, per poter avere qualche soldo in più da dare ai poveri.

È nota la “passione” di Giovanni Paolo I per la famiglia. Cosa direbbe al mondo di oggi su questo tema così importante e delicato?

È difficile dire cosa avrebbe fatto o detto una persona che oggi non c’è più, di fronte ai problemi odierni, e non è giusto farlo. Lui veniva da una famiglia modesta ma ricca di fede, di speranza e di carità, dove ci si voleva bene. Aveva amato molto il padre, buono ma spesso assente, all’estero per guadagnare il pane per la famiglia, ed ancor più la mamma, Bortola, donna di grande pietà, grande generosità ma anche forte di carattere, che assieme ai suoi figli aveva allevato e curato le due figlie sordomute, nate dal primo matrimonio del marito. Questa sua famiglia, unita nell’amore, ma anche nei sacrifici di ogni giorno, certamente gli sarebbe sempre stata davanti come un importante esempio. Naturalmente si sarebbe impegnato al massimo per studiare a fondo i problemi e poi avrebbe fatto qualche proposta di soluzione.

Cosa rimane nella Chiesa dell’insegnamento di Giovanni Paolo I?

Più che dell’insegnamento vero e proprio che lui aveva ricavato dal Vangelo, anche se alla sua maniera, e che sempre si può ritrovare lì, forse restano una sua testimonianza ed alcune decisioni che hanno aperto qualche porta, incoraggiando chi è venuto dopo di lui, a continuare con semplicità, con ottimismo, con coraggio, con amore verso la gente, nonostante le difficoltà e le critiche.

A che punto si trova il processo di beatificazione?

Si sta lavorando con molto impegno per poter concludere al più presto.

Il Pontificato di Luciani è durato 33 giorni come gli anni di Cristo. È un segno del cielo, oppure è una coincidenza fortuita?

Non si può dirlo. Chiunque può interpretarlo come meglio crede. Certamente Gesù ha promesso la sua presenza nella Chiesa fino alla fine del mondo. Ogni papa è quindi prescelto dallo Spirito Santo nel momento giusto per la Chiesa e per lui e, naturalmente, per il tempo necessario a compiere la sua missione. Evidentemente quella dello zio era breve e si è conclusa nel momento più giusto per lui e per la Chiesa, secondo una scelta fatta dall’alto, che solo quando saremo fuori di questo mondo potremo comprendere.

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Grazie per il tempo che ci ha dedicato.

di Don Salvatore Lazzara e Paolo Coveri

Tutte le foto pubblicate sono state gentilmente fornite dalla signora Pia Luciani, nipote di Giovanni Paolo I, che sentitamente ringraziamo.

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