Per i credenti il tempo agli occhi di Dio è un tutt’uno: è una trama unica che prescinde dalla scansione di passato, presente e futuro. Nella nostra dimensione terrena, invece, il tempo passa e il tempo s’attende. E sono passati parecchi giorni dalla diffusione via web di un video sconcertante e ancora s’attende che la stampa blasonata ne dia notizia, pur con ogni cautela del caso.
Mi riferisco alla vicenda che coinvolge Deborah Nucatola, direttrice dei servizi medici dell’americana Planned Parenthood, e di cui in Italia solo un quotidiano cartaceo e pochi siti web ci hanno informato. Nel video in questione, come una novella Hannibal Lecter, la signora Nucatola sorseggia vino parlando delle quote a cui si può vendere il fegato o la testa di un bimbo abortito nel secondo trimestre di gravidanza e delle pratiche all’avanguardia per estrarre intatti gli organi suddetti.
Per non incorrere subito in un viscerale flusso di parole, mi affretto a dire che nelle cliniche abortiste americane tutto ciò è legale: si può terminare una gravidanza al sesto mese e si può scegliere liberamente di donare gli organi del bambino abortito. Per chi rivendica il diritto all’aborto, questa è una bandiera di grande umanità. Per Cecile Richards, presidente di Planned Parenthood, è addirittura un atto compassionevole, a sostegno del progresso della ricerca scientifica. Dunque, lo scandalo rappresentato da quel video non è la sostanza delle cose che si praticano, ma che possano essere state fatte a fine di lucro, perché la legge americana lo vieta.
A essere sincera, la mia coscienza ha le maglie un po’ più strette della legge americana. Ma delle ipocrite battaglie legali che seguiranno a questo scandalo e con cui s’inabisserà il caso non m’importa nulla. Perché sono decisamente impegnata a fare i conti con il peso ingombrante di sentirmi parte del genere umano, che è arrivato a questi abissi di disumana inumanità. Procedere a una nascita parziale, e poi a un aborto, per estrarre intatto il cranio di un bimbo di sei mesi dal grembo materno è e dovrebbe essere un’oscena atrocità anche per coloro che, diversamente da me, accettano l’ipotesi dell’aborto, ritenendo un embrione di qualche settimana un grumo non ancora degno di essere definito umano.
Ecco, a dire il vero, non è neppure su questo genere di dibattito che vorrei concentrarmi ora. Ammetto che, attualmente, il mio stato d’animo è molto più egoista, perché la coscienza continua a sbraitare in modo alquanto sguaiato e scomposto. Niente è di conforto, se non quell’idea che il tempo agli occhi di Dio è un tutt’uno e a cui ho pensato proprio grazie alle fredde parole della signora Nucatola. I termini medici a volte sono incomprensibili, a volte sono fin troppo espliciti: in quel video, riferendosi alla testa dei bambini abortiti da estrarre perfettamente integra, Deborah Nucatola ha più volte pronunciato con glaciale indifferenza la parola latina «calvarium» usata in medicina.
A me non è indifferente come suono, anzi è molto evocativo e addirittura consolante. Perché se Dio vede il tempo senza distinzioni di passato, presente e futuro, allora posso immaginare che, fin da quel giorno in cui la terra si oscurò e tremò, Lui dall’alto del cielo gridò per tutti questi figli che vide morire insieme a suo Figlio sul Calvario.
Alisa Teggi