(Maria Serena Natale) La più grande moschea d’Europa sarà finanziata dalla Turchia, sorgerà a Bucarest, coprirà un’area  di 11 mila metri quadrati e avrà un’università per 6 mila studenti. Costo previsto, tre milioni di euro. Perché un’operazione così imponente in un Paese dove, con 70 mila fedeli, la comunità musulmana costituisce appena lo 0,3% della popolazione?

Il premier socialdemocratico Victor Ponta è sotto  attacco per aver dato il via libera a un piano del quale si discute da un decennio e che potrebbe non  resistere all’onda delle proteste, sostenute dagli stessi musulmani che non vedono l’urgenza del  progetto — la concessione della vasta area vicino al centro della capitale è stata comunque salutata  con soddisfazione dal capo della comunità locale, il Mufti Yusuf Murat: «Un’offerta che esprime  rispetto per le minoranze».

Sui social cresce il movimento «Non vogliamo la mega-moschea a Bucarest»; preoccupati gli ebrei  romeni, che vedono nel luogo una possibile base per «attività terroristiche». Ponta respinge al  mittente le accuse di irresponsabilità e denuncia «il tentativo di mettere in pericolo la pace e la  solidarietà interconfessionale». 

Il timore è che la moschea diventi un nodo sulle rotte fondamentaliste del Balcani, una facile  piattaforma di lancio dell’estremismo verso il cuore d’Europa e che all’interno ravvivi le tensioni  interreligiose. La Romania è un Paese di profonda fede cristiana ortodossa che nei secoli ha  combattuto per sottrarsi alla morsa dell’Impero Ottomano, la vicenda rischia di trasformare la  comunità islamica in un bersaglio. Soprattutto, il piano rientra nelle grandi manovre  espansionistiche della Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, che proprio finanziando  moschee e centri religiosi all’estero ha esteso l’influenza politica, economica e culturale di Ankara.  I progetti in cantiere vanno da Budapest a Tirana fino a Lanham in Maryland, Stati Uniti.

Corriere della Sera, 9 agosto 2015