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Nell’anno 2000, un anno prima dell’11 settembre, circa 800 cristiani furono massacrati nell’isola di Sulawesi. Nella cittadina cristiana di Poso, il giorno di Pasqua circa 180 case e negozi appartenenti a cristiani furono distrutti in un solo giorno. Nei giorni successivi vi fu un’ondata di stupri e violenze alle quali la polizia assiste senza intervenire, altre 800 case e negozi di cristiani furono bruciati. L’apogeo della violenza è stata raggiunta il 23 maggio 2000:  i cristiani sono di nuovo assaliti dalla solita folla (estremista, ndr) islamica e questa volta muoiono 700 persone linciate, bastonate a morte o lapidate. Per chi non sapesse dove è Sulawesi, si trova in Indonesia, e per chi non ricordi se l’Indonesia faccia parte dell’islam moderato o di quello smoderato (è facile fare confusione) informo che fa parte di quello moderato. Il presidente Obama ha citato più volte l’Indonesia come esempio di moderazione, tolleranza, convivenza tra popoli e religioni diverse, un posto dove non si bruciano le chiese. L’ultima affermazione è corretta. Le hanno bruciate tutte per un totale di circa 2000 tra il 1998 e il 2000.

L’Europa come ha reagito ai massacri del 2000? Con la stessa assoluta indifferenza con cui reagisce alle chiese bruciate in Nigeria, a bambini crocefissi in Irak, alle fotografie delle teste mozzate. In Pakistan, altro gioiello di islam “moderato”, sono stati uccisi i bambini. Il terrorista suicida ha tirato il cordino vicino alle giostrine e agli scivoli, durante un giorno dorato che era di resurrezione.  Non (mi piace, ndr) piangere i morti. So che sono stati accolti nel più luminoso dei cieli. So che questa morte che li ha strappati alla terra li ha consegnati nelle mani di Cristo. E invidio la loro sorte: li accompagneranno alla dimora eterna in canti e preghiere. Piango la vigliaccheria e la stoltezza della mia terra. Piango per i fiorellini, le candeline e le idiozie scritte per terra con i gessetti colorati. Piango un popolo, quello europeo, che non è nemmeno più capace di seppellire i propri morti, e li sprofonda nel ridicolo con la grottesca e demente canzonetta “Imagine”, dove uno dei più sopravvalutati mediocri del XX secolo sogna un mondo senza religioni come soluzione del mondo. Piango l’incapacità di dire che il terrorismo è islamico, nasce nell’islam (fondamentalista, ndr), appartiene all’islam.

Per chi non lo ricordasse, il testamento spirituale del cattolico Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze del Pakistan, assassinato il 2 marzo 2012 a Islamabad da uomini armati. Bhatti aveva difeso con coraggio Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia in base a false accuse, e aveva ricevuto numerose minacce di morte perché, come Salman Taseer, governatore del Punjab assassinato da estremisti islamici, voleva riformare la legge sulla blasfemia. “Proprio ieri "migliaia di islamici radicali hanno partecipato a Islamabad ad una manifestazione per chiedere l'esecuzione di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia. I manifestanti hanno protestato anche contro l'esecuzione di un uomo, Mumtaz Qadri, giustiziato il 29 febbraio per l'omicidio del governatore del Punjab, che chiedeva la riforma della legge sulla blasfemia. I sostenitori di Qadri, ex guardia del corpo, sono arrivati nella capitale dalla città vicina di Rawalpindi e chiedono che sia riconosciuto come martire. . Nel 2015 la Corte Suprema ha sospeso la pena capitale” (nota redazionale).

“Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica… Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico. Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Fratelli nella luce, che siete morti nella fede  e per la fede, vi scrivo da una terra dove di muore a caso e per caso, uccisi dal terrorista della porta accanto, si viene seppelliti con canzonette sceme, mentre ministri ridicoli versano lacrime ridicole. Porterò i vostro ricordo nel cuore”.

Silvana De Mari

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