Folla Cuba

Dopo la visita di cortesia al Palacio della Revolucion, il Santo Padre si trasferisce in macchina presso la Cattedrale dell’Immacolata Concezione e San Cristobal de La Habana. Prima di giungervi, il Pontefice si è fermato nella Iglesia Reina, sede della sezione urbana della Compagnia di Gesù. La costruzione dell’edificio sacro fu iniziata dai Padri Gesuiti nel 1748, quando La Habana si trovava ancora sotto la giurisdizione ecclesiastica di Santiago de Cuba. I lavori continuarono, anche dopo l’espulsione dei Gesuiti nel 1767, accusati di cospirazione. L’opera fu ultimata nel 1787, data dell’erezione di La Habana a diocesi. Un anno dopo la città divenne sede vescovile e la chiesa fu elevata a rango di cattedrale. La cattedrale si affaccia sull'omonima Plaza de la Catedral, nella zona di Habana Vieja. La notte aumenta la suggestione: la chiesa diventa l'affascinante scenario delle attività che si svolgono nella piazza antistante, punto di incontro di turisti e abitanti dell'Avana, con un sottofondo di musica cubana. Francesco recita, insieme ai consacrati e al popolo di Dio, i II Vespri della XXV Domenica del Tempo Ordinario. Il cardinale Alamino rivolge, prima dell’inizio del Vespro, un saluto di benvenuto. La preghiera viene arricchita dalla testimonianza di una religiosa, mentre le letture brevi saranno due: 2Cor 1,3-4; e Gv 17,11b.13.14-15-17.

Come sempre il Papa stupisce. Lascia la riflessione preparata per parlare a braccio come fa un Padre con i propri figli. Non possiamo sottolineare alcuni passaggi importanti dell’omelia scritta: “Gesù conosceva bene il cuore dei suoi, conosce bene il nostro cuore. Perciò prega, chiede al Padre che non li prenda una coscienza che tende ad isolarsi, a rifugiarsi nelle proprie certezze, sicurezze, nei propri spazi, a disinteressarsi della vita degli altri, chiudendosi in piccole “aziende domestiche”, che rompono il volto multiforme della Chiesa. Situazioni che sfociano nella tristezza individualista, in una tristezza che a poco a poco lascia spazio al risentimento, alla continua lamentela, alla monotonia; «questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 2) alla quale Lui vi ha chiamato, alla quale ci ha chiamato. Per questo Gesù prega, chiede che la tristezza e l’isolamento non prevalgano nel nostro cuore. E noi vogliamo fare lo stesso, vogliamo unirci alla preghiera di Gesù, alle sue parole per dire insieme: «Padre, custodiscili nel tuo nome … perché siano una sola cosa, come noi» (Gv 17,11) «e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11)”.

Non sono mancate le esortazioni a vivere nell’unità e non nell’omogeneità, come rimedio all’individualismo ecclesiale che non ha nulla in comune con lo Spirito del Vangelo: “E’ frequente confondere unità con uniformità, con un fare, sentire e dire tutti le stesse cose. Questo non è unità, ma omogeneità. Questo significa uccidere la vita dello Spirito, uccidere i carismi che Egli ha distribuito per il bene del suo Popolo. L’unità si vede minacciata ogni volta che vogliamo rendere gli altri a nostra immagine e somiglianza. Per questo l’unità è un dono, non è qualcosa che si possa imporre a forza o per decreto. Sono lieto di vedervi qui, uomini e donne di diverse generazioni, contesti, esperienze di vita differenti, uniti per la preghiera in comune.

Chiediamo a Dio che faccia crescere in noi il desiderio di prossimità. Che possiamo essere prossimi, stare vicini, con le nostre differenze, propensioni, stili, però vicini. Con le nostre discussioni, le nostre “litigate”, parlando di fronte e non alle spalle. Che siamo pastori vicini al nostro popolo, che ci lasciamo mettere in discussione, interrogare dalla nostra gente. I conflitti, le discussioni nella Chiesa sono auspicabili e, oserei dire, addirittura necessarie. Segno che la Chiesa è viva e lo Spirito continua ad agire e continua a renderla dinamica. Guai a quelle comunità dove non c’è un sì o un no! Sono come quegli sposi che non discutono più perché hanno perso l’interesse, hanno perso l’amore”.

La vita della Chiesa a Cuba, grazie alla testimonianza e all’impegno apostolico dei sacerdoti, registra una rinnovata vitalità. La prova più evidente della nuova primavera ecclesiale è l’autorizzazione concessa dal governo dell’Avana per la costruzione della prima chiesa dopo oltre 50 anni: sarà una parrocchia dedicata a San Giovanni Paolo II e sorgerà anche grazie alla generosità dei parrocchiani di Palmi, in Calabria. Il progetto, guardato con favore dal presidente Raul Castro, è stato fortemente voluto dall’arcivescovo locale, il card. Jaime Lucas Ortega y Alamino. Il porporato ha affidato l’incarico di trovare i fondi al parroco di Palmi, don Pasquale Pentimalli che, intervistato da Sergio Centofanti per Radio Vaticana, ha dichiarato: “La prima volta che sono venuto qui sono rimasto molto turbato. Turbato dalla miseria: dalla miseria spirituale di questo popolo, dalla miseria materiale, la fame che vedevo in giro, ma anche dalla miseria morale. Questo non dobbiamo nasconderlo… Quando ho visto questa situazione di miseria presente a Cuba - la prima volta sono venuto per quindici giorni di ferie, era inverno, mi avevano invitato. Qui è sempre estate, il mare è bello… - sono rimasto colpito e ho detto: “Non posso tornare a casa senza aver fatto qualcosa per questo popolo e soprattutto per questa Chiesa che ha tanto bisogno. Sono andato dal cardinale e il cardinale mi ha parlato di questo progetto. Allora io ho detto: “I soldi per la costruzione di questa chiesa te li do io”. Il cardinale è stato felice, perché non aveva soldi per costruirla, ed è rimasto colpito da questo slancio di generosità. Subito è nata un’amicizia e quindi una collaborazione per questa costruzione. Speriamo l’anno prossimo di poterla inaugurare… Bisogna purtroppo usare il condizionale, perché qui per far muovere una cosa ci vuole molto, molto tempo”. Ora il desiderio sembra diventato realtà grazie all’impegno e al sostegno dei fedeli calabresi.

Don Salvatore Lazzara
farodiroma.it

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