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Pubblichiamo alcuni stralci dell'intervista a P. Antonio Maria Sicari curata da “Dialoghi Carmelitani”, su Chiesa famiglia e Sinodo:

La Chiesa si prepara a vivere il prossimo Sinodo sulla famiglia, mentre si fa sempre più intensa la pressione mediatica, politica e culturale attorno ad alcuni temi collegati: il pensiero della Chiesa sul matrimonio e sul tipo di famiglia può cambiare o almeno “evolvere”? Come si concilia la dimensione di una norma biblica o dottrinale con quella della misericordia? Perché la Chiesa può consentire o limitare l’accesso al sacramento dell’Eucaristia? A partire da questi e altri interrogativi Dialoghi ha scelto di intervistare P. Antonio Sicari, teologo e fondatore del Movimento Ecclesiale Carmelitano, per un confronto “a tutto campo” – sviluppato secondo il punto di vista del nostro carisma – su tutto ciò che riguarda questo momento così decisivo per la vita della Chiesa e di ogni uomo.

Sta diventando corrente questa persuasione: se molti si allontanano dalla Chiesa, -continua Padre Sicari-, bisogna prenderne atto e andar loro incontro, valorizzando la positività che c’è in ogni cammino umano. Si può tuttavia muovere a questo approccio una fortissima obiezione: quando l’evangelizzazione cristiana era ai suoi inizi, la Chiesa si trovò davanti a un mondo già ben consolidato nelle sue persuasioni antropologiche e in costumi (familiari e sessuali) del tutto dissonanti. Se ci fu mai nella storia cristiana un momento in cui poteva sembrar importante dimostrare tolleranza, pazienza e misericordia verso una società lontanissima dagli ideali evangelici e non attrezzata a comprenderli – nemmeno dal punto di vista concettuale – fu proprio quello degli inizi. La Chiesa divenne sì esperta di pazienza pedagogica e di misericordia, ma non prima d’aver proclamato l’intero ideale cristiano (anche sulla famiglia, sulla sessualità, sulla illiceità di tanti comportamenti allora ritenuti perfino ovvii) e di provocare, nelle società allora esistenti, uno shock salutare ponendo la sua “radicale differenza”, subendo persecuzioni e offrendo anche l’evidenza della testimonianza eroica dei suoi fedeli.

Ma perché anche i cristiani rischiano di perdere la loro originaria fierezza e sono tornati giustificare e condividere certe convinzioni pagane su famiglia e sessualità?

La risposta non è semplice, anche perché dovrebbe essere cercata e articolata a diversi livelli (filosofici, sociologici, spirituali, morali, ascetici ecc.). L’esperienza e la sensibilità “carmelitana” mi inducono, tuttavia, a dare una risposta non usuale e che avrebbe ancora bisogno di molta riflessione e approfondimenti. I cristiani si sono talmente abituati a parlare di “amore” che tale parola sembra diventata una sorta di grimaldello in grado di giustificare ogni compagine affettiva e ogni comportamento sessuale. “L’amore vince” è lo slogan che ha trascinato recentemente gli Usa a legalizzare i matrimoni omosessuali, e lo stesso slogan trionfa spesso in mille discussioni su temi analoghi. E si dà sempre per scontato che l’amore sia quello sponsale, e che tutti i legami affettivi siano una vaga imitazione di questo primo e sommo amore. Quasi tutte le religioni antiche fanno risalire l’amore a un originario “matrimonio sacro” (ierogamia) tra un dio e una dea, da cui tutto scaturisce e che i riti umani cercano di riprodurre. E questo tema è ripreso anche nei trattati alchemici e in alcune correnti della psicologia moderna e postmoderna. Ma nella rivelazione biblico-cristiana le cose stanno diversamente: l’Amore originario, da cui tutto dipende, è quello del Padre che genera eternamente il Figlio suo, e il loro reciproco amore (che li lega in eterna comunione) è lo Spirito Santo. L’amore sponsale comincia – secondo l’alto e poetico magistero di S. Giovanni della Croce – quando il Padre dona al Figlio suo la Creazione e l’intera umanità: ciò che viene poi riprodotto nella costituzione della prima coppia umana. Anche la Redenzione, raccontata dal Nuovo Testamento, non ha al suo inizio una coppia sacra (il discorso sulla maternità verginale di Maria ha qui il suo perché), ma semplicemente il dono del Figlio, “mandato dal Padre per salvare il mondo”, che “viene ad abitare in mezzo a noi” presentandosi e donandosi come Sposo dell’intera Umanità e di ogni singola creatura umana. Ed è per questo che l’esperienza della umana coniugalità può aprirsi a Cristo, nella Chiesa, e diventare sacramento, l’origine di ogni amore. Ma tutto questo è sorretto dalla filialità che tutti ci accomuna in Cristo.

E questo quali conseguenze ha sulla famiglia?

La prima conseguenza è che la coppia umana non può veramente costituirsi al di fuori di un contesto più ampio e più radicale di “filialità”: i due Sposi non saranno mai veramente tali se prima non riconosceranno e onoreranno la loro comune filialità verso Dio Padre e creatore. Due sposi hanno amore di sposi, solo se l’uno ama la filialità dell’altro e la protegge. Due genitori sono veramente tali se amano e educano i figli a partire dalla propria stessa “filialità”. I figli non possono veramente affidarsi ai genitori e imitarli se non vedono che anch’essi attuano nella vita con gioia la propria filialità verso il Padre celeste. I fratelli non riescono a riconoscersi e ad amarsi davvero come membri di una stessa famiglia, se prima non si sentono figli dell’unica famiglia di Dio. E tutti gli altri non potranno essere accolti come prossimo da amare se non li si contempla nella prossimità filiale che Dio Padre ha offerto in Cristo «a ciascun uomo». E, durante tutto il tutto il percorso familiare, è la comune preghiera del “Padre nostro” che deve offrire a tutti il linguaggio adeguato.

In base alle riflessioni proposte sin qui, qual è allora il giudizio che il Sinodo dovrebbe dare sui diversi tipi di famiglia che pretendono di essere riconosciuti, almeno alla pari con quella tradizionale?

Strettamente parlando, il Sinodo (e la stessa Chiesa) non hanno “un giudizio da dare”, ma “una verità da affermare”: quella che Dio stesso ha rivelato. Il giudizio, quando è necessario, nasce dalla difformità che si può e si deve riscontrare tra le scelte e i comportamenti umani e la verità che la Chiesa deve annunciare al mondo. La rivelazione biblica (ripresa decisamente e con forza da Gesù), ci dice, dunque, che esistono due modi di essere “umani” e due modi di “essere corpo”, che si completano reciprocamente, e ci avverte che bisogna “abbracciarli” in un unico sguardo (e poi anche “vederli abbracciati!”). Proprio in tempi recentissimi la Chiesa ha ricevuto al riguardo, dal Papa San Giovanni Paolo II, una “catechesi” sistematica e approfondita (ben 136 catechesi!). Sarebbe un errore trascurarla e non farla diventare un testo permanente da gustare e approfondire. Ai nostri giorni la Chiesa ha il dovere di affermare – come faceva Papa Wojtyła – che è essenziale avere “una coscienza beatificante del significato sponsale del corpo”. Si tratta di dire con tutta chiarezza che ogni corpo umano ha fame di una oggettiva felicità, ma nessuno di essi se la può dare da se stesso, se è privo della capacità di completarsi in un corpo diverso e in un’altra anima, e poi in un altro nuovo essere, corporalmente e spiritualmente generato dall’unione del corpo maschile con quello femminile. Secondo la rivelazione biblico-cristiana tutto ciò sta alla base della vocazione dell’uomo alla felicità. Può forse la Chiesa dimenticarlo o lasciare che ciò venga dimenticato? Può la Chiesa trascurare l’annuncio della felicità? È lecito o no alla Chiesa ricordare agli uomini che ogni altra scelta o ogni altra combinazione di corpi conserva e rivela una certa incompiutezza e una certa tristezza?

La generazione naturale dei figli è, dunque, un elemento essenziale dell’amore coniugale?

È talmente essenziale che la “generazione del figlio”, progettualmente, precede la stessa scelta coniugale. Se (come abbiamo visto) l’origine divina dell’amore è un “atto generativo”, l’intera realtà creata ha una natura radicalmente “filiale”. E deve essere “generativo” (“generoso!”) anche il rapporto reciproco tra i due coniugi! Nella tradizione cristiana, poi, è sempre stato evidente (anche se oggi si vorrebbe oscurare tale evidenza, trascurandone la necessaria “cultura”) che solo la generazione dei figli garantisce di diritto il nucleo di verità e di progettualità di ogni amore coniugale, anche quando esso non riesce a esprimersi compiutamente. La prima conseguenza è che non si può costituire una vera coppia sponsale che non sia naturalmente orientata alla generazione e alla successiva custodia della “filialità dei figli” (come “educazione” e “continuata generazione”). Che un figlio possa essere anticipatamente negato, o rifiutato, o avulso dalla coppia che lo ha generato; che un figlio possa essere prodotto al di fuori di ogni coniugalità; che la coniugalità possa essere esigìta al di là di ogni riferimento al figlio; che un figlio comunque prodotto possa poi essere reinnestato nella coppia o nuovamente ripudiato da essa: sono tutte pratiche oggi possibili e da molti ritenute legittime. Che cosa ne sia della filialità propria e altrui è una questione che i cristiani dovrebbero porsi prima di intenerirsi del preteso diritto di tutti ad amare e ad essere amati (diritto che dovrebbe, per lo meno, essere esteso anche ai figli).

Che cosa bisogna pensare allora, anche alla luce del prossimo Giubileo, dell’affermazione per cui tutto può essere accolto e perdonato dalla infinita misericordia di Dio?

La misericordia, prima di essere l’atteggiamento che Dio assume in seguito ai nostri peccati, è l’atteggiamento proprio del Creatore e Padre verso tutti gli uomini, sue creature, da Lui infinitamente amate. Non sono i nostri peccati la “causa” della misericordia di Dio! Ne deriva che la Sua misericordia risplende maggiormente nel mondo là dove c’è più desiderio e accoglienza della paternità di Dio, e non là dove si commettono più peccati. Per questo santa Teresa di Lisieux insisteva a insegnare che “la misericordia è donata ai piccoli”. Sempre la stessa Santa, nei suoi Scritti, ha completato l’interpretazione tradizionale della parabola del “figliol prodigo” in maniera nuova e interessante, invitandoci a pensare quale infinita misericordia avrebbe potuto gustare il figlio maggiore se fosse rimasto nella casa del padre, grato e felice della Sua presenza e di tutti i suoi doni. In fondo non dobbiamo dimenticare che le cose stanno proprio così, dato che Cristo racconta la parabola come vero Fratello maggiore, felice di essere sempre col Padre (si riferiscono soprattutto a Gesù le parole “tutto ciò che è mio è tuo!”) e preoccupato di accogliere e condurre al Padre tutti i “figli prodighi” (i peccatori e i pubblicani che lo attorniano). I figli sono dunque tre: il prodigo, il maggiore scontento e il Primogenito che “è sempre col Padre” e si preoccupa di tutti i fratelli. Le parole di Gesù non vanno mai interpretate, prescindendo dalla Persona di Gesù! Il Primogenito Gesù è “il volto della Misericordia del Padre”. In questo senso parlare di “Misericordia di Dio onnipotente” significa dire che Dio Onnipotente può tutto ciò che vuole e vuole poter perdonare ogni peccato, per quanto grande esso sia. Ma Dio non vuole mai impiegare la sua onnipotenza per rendere vana la libertà dell’uomo. Ed è quindi sbagliato pensare che Egli possa vanificare la nostra libertà ricorrendo alla “onnipotenza della sua Misericordia”.

Che cosa c’è di propriamente cristiano nel matrimonio?

Di propriamente cristiano nel matrimonio c’è il fatto che esso è un sacramento, cioè un mezzo di grazia e di incarnazione dell’amore di Dio. Se molte famiglie cristiane risultano poco credibili (perfino a se stesse), è perché molte non comprendono più (o non hanno mai compreso, o hanno dimenticato) che nella loro storia è “sacramento tutto”: ciò che vi accade di bello e di positivo è sacramento perché indica e fa gustare la presenza di Cristo; ciò che vi accade di negativo è sacramento perché grida il bisogno di Cristo. La vocazione coniugale e familiare non distrugge l’originaria verità che “il cuore dell’uomo non si sazia mai con meno di Dio” (San Giovanni della Croce). E perciò anche la fame di un amore non corrisposto può ricordarcelo e farcelo esperimentare! Molti santi coniugi hanno dimostrato quale grazia immensa (anche se difficile) si possa trovare perfino attraversando i limiti e le sofferenze dell’amore umano.

Qual è oggi il bisogno più urgente delle famiglie cristiane?

Il bisogno più urgente, a mio parere, è quello di una nuova e radicale evangelizzazione a riguardo dell’amore, in tutti i suoi aspetti, già a partire dal rapporto genitori-figli e tra fratelli. Con una particolare e delicata attenzione alle prime esperienze affettive degli adolescenti, fino al momento cruciale in cui un matrimonio viene progettato. Poi c’è bisogno di costituire – nella libertà dell’amicizia cristiana – vere “famiglie di famiglie”, capaci di offrirsi reciprocamente quel necessario accompagnamento, umano e spirituale, di cui ogni singola famiglia ha bisogno. La presenza di alcune persone consacrate e di qualche ministro di Dio in queste aggregazioni (nel rispetto delle diverse vocazioni e dei diversi stati di vita) è un bene inestimabile.

Che cosa pensa della possibilità di concedere l’Eucaristia ai divorziati risposati?

A volte, certi giornali ne hanno parlato, usando l’espressione “prendere l’ostia”, come se si trattasse di un diritto di tutti i cristiani a poter fare quello che gli altri fanno e a non essere o non sentirsi discriminati. Io comincerei a porre la questione ricordando che si tratta di “fare la comunione”, cioè di entrare nella vita stessa di Dio e di partecipare al sacrificio di Cristo che ci ha donato se stesso, fino a darci il suo stesso corpo sacrificato. Dopo di che, il minimo che un cristiano debba “fare” è interrogarsi sulla qualità delle relazioni che intrattiene con Dio e con Gesù. Non sono soltanto i divorziati “risposati” a non poter ricevere l’Eucaristia, d’altra parte, ma tutti i cristiani che sanno d’aver gravemente offeso Dio e intendono persistere nell’offesa. Non è la Chiesa che nega loro l’Eucaristia, ma il fatto oggettivo che all’Eucaristia da sempre accede chi, attraverso la confessione, ha riconosciuto la propria situazione di peccato e ne ha chiesto perdono. I “risposati”, prima di porre desideri e necessità spirituali, e di invocare diritti, dovrebbero confrontarsi, nel modo più semplice e sincero possibile, con questa parola di Gesù chiaramente attestata dal Vangelo: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi. (…). Perciò io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio». (Mt 19, 4-9). Non si può far coesistere l’abbraccio intimo a Cristo con la disobbedienza grave alla sua Parola.

Ma che cosa impedisce loro di ricevere l’Eucaristia come “perdono” e aiuto?

Nei divorziati-risposati ci sono, in senso oggettivo, due situazioni di peccato. C’è il peccato commesso da chi ha voluto e provocato il divorzio (e può trattarsi di ambedue i coniugi o di uno solo di essi). Questo peccato può essere perdonato (quando la rottura tra i coniugi è irreversibile) se ci si pente del male fatto e se si riparano tutti i torti commessi con la rottura del patto coniugale. C’è poi il peccato di adulterio, commesso da chi si risposa. Questo non può essere perdonato finché i due persistono nel considerarsi “una sola carne”, cioè nel possesso coniugale. Nessun peccato può essere perdonato se chi lo commette non lo considera tale o si ostina in esso. Può invece accadere che due divorziati-risposati si trovino legati dai reciproci obblighi che hanno assunto, (soprattutto verso dei figli) e li vivano con vero amore e generosità. In tal caso la loro convivenza può essere perdonata (e possono ricevere anche l’Eucaristia, là dove non destano scandalo), ma soltanto se rinunciano al reciproco possesso coniugale, riconoscendo così di non poter essere, davanti a Dio, “marito e moglie”. Se non lo fanno e finché non lo fanno, la Chiesa non li considera scomunicati né in alcun modo li abbandona: li invita anzi ad un percorso di accompagnamento e di discernimento per vivere l’esperienza cristiana ed ecclesiale nel miglior modo possibile. Chiede loro soltanto di restare davanti all’Eucaristia con umile e ardente desiderio e in “stato di preghiera” (si vive allora l’esperienza della “comunione spirituale” che può essere molto gradita a Dio) riconoscendo di essere, nella Chiesa, in uno stato oggettivamente difforme dalla volontà Dio e affidandosi comunque a Dio stesso: Lui sa quello che giova alle sue creature e le farà maturare se trova in loro umiltà e sincerità di cuore.

Cosa pensare sulla questione del “gender” e della pretesa abolizione di tutte le “differenze di genere” nei matrimoni, nelle famiglie e nell’educazione dei bambini?

Oggi la Chiesa è turbata dal fatto che predicare l’Amore è il suo compito principale (ed essa non può certo dimenticare che Dio stesso si definisce Amore!) e che le varie questioni messe in campo sembrano voler liberare l’amore da ogni catena, mentre le convinzioni e le leggi cristiane sono accusate di volerlo costringere, giudicare e limitare. Abbiamo già ricordato che lo slogan “l’amore vince” sembra destinato ad essere vincente, anche nella coscienza di tanti cristiani. In secondo luogo la Chiesa è turbata dal fatto che molti (anche tra i credenti) la percepiscono divisa tra chi vorrebbe “aprirsi all’amore per tutto e per tutti” e chi invece resterebbe ancorato a vecchi dogmi e antichi pregiudizi. a me sembra utile invitare tutti a confrontarsi con le parole che Papa Francesco – quand’era ancora Cardinale di Buenos Aires – scriveva, in una lettera del giugno 2010, sulle leggi che l’Argentina stava per varare: «Il popolo argentino dovrà affrontare nelle prossime settimane una situazione il cui esito può seriamente ferire la famiglia. Si tratta del disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso. È in gioco qui l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e con una madre. È in gioco il rifiuto totale della legge di Dio, incisa anche nei nostri cuori (…). Qui pure c’è l’invidia del Demonio, attraverso la quale il peccato entrò nel mondo: una invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra. Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una “mossa” (“movida”) del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio.

E Gesù dice che per difenderci da questo accusatore bugiardo ci manderà lo Spirito di Verità. Oggi la Patria, in questa situazione, ha bisogno dell’assistenza speciale dello Spirito Santo che porti la luce della verità in mezzo alle tenebre dell’errore. Ha bisogno di questo Avvocato per difenderci dall’incantamento di tanti sofismi con i quali si cerca a tutti i costi di giustificare questo disegno di legge, e che confondono e ingannano perfino persone di buona volontà». Ma anche molto più di recente, nell’Udienza Generale del 15 aprile 2015, Papa Francesco è tornato sul tema della insostituibile differenza tra uomo e donna, con questo intervento: “L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna […]. La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del “gender” non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti”.

Fonte: mec-carmel.org

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