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Salgo su un bus che dal Colosseo mi avrebbe condotta fino a piazza Venezia, il tempo di entrare e vengo avvolta da un fetore sgradevole di pipì e di altro olezzo non definibile. Mi guardo intorno fra le decine di persone accalcate per capire la fonte di tutto questo e, immagino fra me e me che forse si trattava di qualcuno che, impunemente, in un momento in cui la vettura era rimasta parcheggiata incustodita, avesse pensato di produrre i propri bisogni all’interno del veicolo. Noto che la maggior parte delle persone aveva posto sul proprio naso un fazzoletto, una sciarpa, qualcosa che potesse filtrare quell’aria appestata.

Dopo qualche minuto mi accorgo che la fonte di tanta sgradevolezza era un uomo, un uomo trasandato, uno di quelli che usualmente sono definiti “barboni”, uomini mendicanti, miserabili, emarginati, uomini che per disgrazia hanno perso tutto, il lavoro, la famiglia e, di conseguenza, ogni fonte necessaria al proprio sostentamento. Era seduto e le persone gli stavano alla larga. "Poverino", pensai, "che pena nel cuore". A quel punto, a due signore che mi erano vicine e borbottavano per il fetore, mi venne spontaneo dire che quel fetore è il prezzo del nostro egoismo, è il prodotto della società dello scarto ma pur sempre profumo rispetto al puzzo della corruzione.

E affermai: “care signore, è un uomo che evidentemente non ha nulla, nemmeno la possibilità di lavarsi, sopportiamo con rispetto questo odore di uomo, povero grazie al nostro egoismo. Per lui almeno è viva la speranza che sarà ai primi posti nel Regno dei Cieli”. E dentro di me ho pensato che quel fetore sgradevole fosse paradossalmente il miglior odore del mondo perché mi ricordava quanto male possa accadere agli uomini quando dimentichiamo di amare il prossimo come amiamo noi stessi, come ebbe ad insegnare Gesù nella Sua vita di predicazione e pensai che la mia identità era intessuta con la Grazia del Vangelo annunciato da Lui, ovvero la Buona Novella dell’amore e della salvezza. Un giorno vorrei che tutti gli uomini e le donne che guadagnano molto più di quanto dovuto o necessario, per corruzione, per mafia, per clientelarismo, per raccomandazione e favoritismi, o semplicemente per ricca eredità o lavori ben retribuiti, ma egoisti e aridi d’animo, fossero radunati in una unica grande sala. Innanzi a loro porrei un palco, e sul palco un uomo pieno di rughe, anziano, con la pensione al minimo dopo anni di duro lavoro, si, un uomo di quelli che annaspano fra l’immondizia alla ricerca di cibo, che non hanno sufficienti mezzi per scaldarsi, che tremano di freddo, di stenti, che indosso hanno stracci logori. Accadrebbe qualcosa nelle loro coscienze?

Una volta, nella metropolitana che conduce alla stazione Termini, ne conobbi uno di questi uomini poveri, il suo nome è Giovanni. Giovanni mi aveva palesato sin dall’inizio della nostra conversazione una fede forte, affermava che nonostante la miseria materiale lo affliggesse, lui manteneva salda la fede in Dio che non gli avrebbe mai fatto mancare nulla.  E pensai alle parole di Gesù: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. Ed ecco che in Giovanni io scorsi proprio quella purezza di cui parla il Vangelo, i suoi occhi celesti trasudavano limpidezza, coraggio, integrità. Notai subito Giovanni, fra la gente scorsi quest’uomo esile di statura ma abbastanza alto, avvolto in un giaccone nero, un pochino logoro. Il dettaglio che più mi colpì furono i suoi occhi celesti e luminosi, era impossibile non rimanerne abbagliati, fra le mani stringeva un sacco con dentro qualche straccio. La metro era in movimento e accade di sentire un uomo parlare male del cristianesimo, non seppi tacere ed intervenni per dirgli che se ognuno vivesse secondo i valori cristiani ovvero il Vangelo che ci insegna ad amare il prossimo e a spezzare il pane con chi non ne ha, non ci sarebbero più povertà, guerra, ingiustizia.

Quest’uomo allora si scaraventa con parole offensive contro di me facendosi scudo dei soliti luoghi comuni contro la Chiesa ma Giovanni, che era accanto a me, mi disse che avevo ragione, che Gesù ci aveva lasciato una grande eredità di valori, quello dell’amore autentico, della pace, del rispetto degli ultimi, di una giustizia autentica che libera e innalza dalla miseria. Mi disse che certamente era povero per il mondo ma ricco di fede, e aggiunse con mio sommo stupore, che era ben lieto della certezza che prima o poi, lui, avrebbe smesso di soffrire e avrebbe potuto godere della pace e dell’amore di Cristo, in una vita eterna colma di gioia e fratellanza nel Regno dove sarebbe stato bene, finalmente.

Nel frattempo avrebbe vissuto pregando, tendendo la mano con umiltà e sorriso, senza pretendere nulla, sperando semplicemente nell’aiuto delle persone e avrebbe mangiato se qualcuno gli avesse offerto un panino. Lui non era disperato, Giovanni era sofferente ma non disperato. In Lui infatti, Cristo, aveva dispiegato la Sua potenza che rende soave il giogo per quanto dura sia la vita. Giovanni, nella fede, aveva incarnato il brano evangelico in cui Gesù ci invita a prendere il Suo giogo sopra di noi e imparare da Lui, che è mite e umile di cuore e troveremo ristoro per la nostra vita. Il Suo giogo infatti, è dolce e il Suo peso leggero.

A Giovanni, il mio più sincero e accorato ringraziamento per la testimonianza di credente credibile.

Simona Marino

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