europa

Introduzione. La categoria della "non negoziabilità" è emersa per la prima volta nel Magistero della Chiesa nella Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata il 24 novembre del 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede. La Nota era firmata dal cardinale Joseph Ratzinger, nella qualità di Prefetto della Congregazione e venne approvata da Papa Giovanni Paolo II. Nel paragrafo 3 della Nota si ribadisce che “non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno”. Se però, aggiunge la Nota, il cristiano è tenuto ad “ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali”, egli è ugualmente chiamato “a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili”.

Differenza tra principio e valore. Spesso si parla di “valori” non negoziabili anziché di “principi” non negoziabili, ma si tratta di un errore di impostazione. Principio vuol dire fondamento e criterio. Il principio è l’elemento che regge e illumina un certo ambito, tiene insieme le cose e le indirizza al loro fine. Cos’è, invece, un valore? Una cosa ha valore quando è apprezzabile. La vita è apprezzabile, ma anche  l’aria pulita o la buona cucina. Essere un valore non vuol dire anche essere un principio. Ciò non toglie che un valore possa essere anche un principio. La vita umana, per esempio, è un valore ma è anche un principio, in quanto è in grado di illuminare con la sua luce l’intera vita sociale e politica. Se si offusca il rispetto della vita non si offusca solo un valore, ma anche altri valori ed altri aspetti della vita che quel principio illumina. Il bene comune non è un insieme di valori aventi tutti lo stesso peso, ma è un insieme ordinato. Ciò vuol dire che qualche valore ha una funzione arichitettonica, ossia indica i fondamenti del bene comune e, così facendo, illumina di senso anche tutti gli altri. Senza un criterio non c’è bene comune ma somma di beni particolari e questo criterio ci proviene dai principi non negoziabili.

Non negoziabile. Vediamo ora cosa significa “non negoziabile”. Se si tratta di principi, ossia se sono qualcosa che viene prima e che fonda, essi non dipendono da quanto viene dopo ed hanno valore di assolutezza, non sono disponibili. Non sono negoziabili perché assoluti e sono assoluti perché sono dei principi. Si torna così a vedere l’importanza della distinzione tra principi e valori.  I principi non negoziabili, quindi, sono tali in quanto precedono la società. E da dove derivano? Essi sono non negoziabili perché radicati nella natura umana. Proprio perché fanno tutt’uno con la natura umana, non possono essere presi a certe dosi, un po’ sì e un po’ no: o si prendono o si lasciano. Questa è vita umana o non lo è. Questa è famiglia o non lo è. I principi non negoziabili demarcano l’umano dal non umano e quindi sono il criterio per una convivenza umana. Da un altro punto di vista, però, essi non sono propriamente dei principi primi, perché non sono capaci di fondarsi da soli. Come abbiamo visto, essi si basano sulla natura umana, ma la natura umana su cosa si fonda?  I principi non negoziabili esprimono un ordine che rimanda al Creatore. Se non esistono principi non negoziabili la ragione non trova un ordine che rinvia al Creatore. Essa non incontra più la fede e  la fede non incontra più la ragione. Ciò significa l’espulsione della religione dall’ambito pubblico. La vita sociale e politica sarebbe solo il regno del relativo. Cosa ci starebbe a fare la fede in un simile contesto? Dio si sarebbe scomodato a parlarci per aggiungere la sua opinione alle nostre?

Contrapposizioni sui valori e principi non negoziabili e laicità. La contrapposizione tra laici e cattolici, in politica, serve solo a evadere dalle vere questioni che sono umane e non religiose. Nasce da una serie di pregiudizi. Da parte dei laici, persiste il pregiudizio che ogni proposta dei cattolici, anche la più razionale e umana, viene ridotta e scambiata per proposta di fede o di Chiesa e, di conseguenza, comodamente disattesa come non pertinente in una società laica e pluralista. Lo stato è laico si afferma e laiche (non confessionali) devono essere le leggi. Certamente, da parte dei cattolici, occorre maggiore attenzione all’argomentazione razionale e a non dare l’impressione di essere i soli a difendere certi valori e certi diritti con il rischio di farli passare per valori e diritti cattolici. D’altra parte, si constata, di volta in volta, che il ricorso al termine  laicità è diventato ormai uno slogan per denunciare interferenze o invasioni di campo, quasi che le questioni umane, e argomentate razionalmente, siano monopolio dei laici. E se fossero proprio i laici a fraintendere il concetto di laicità? Laicità, infatti, significa indipendenza da una morale di tipo religioso in senso largo, ma non dalla morale razionale. Il problema serio, allora, consiste nel verificare se si tratta o meno di valori (diritti) umani; ma è del tutto secondario domandarsi se a sostenerli siano dei cattolici o no. In realtà, la divergenza non è tra cattolici e laici, ma tra posizioni ragionevoli, meno ragionevoli o irragionevoli. In altre parole, non si tratta di questioni religiose, ma umane; il confronto è sul piano della ragione e non già della fede. Per questo, da una parte e dall’altra, occorre grande capacità di ascolto e di confronto per trovare, di volta in volta, il più alto consenso su un tipo di legge che traduce, non al minimo ma al massimo, il valore della persona, della famiglia, dell’autorità come servizio, della giustizia sociale, della pace contro l’immoralità della guerra e della pena di morte. In questa prospettiva, è necessario superare una dicotomia o separazione: c’è chi si impegna, e lodevolmente, sul fronte dei valori della vita e della famiglia, ma non così sui valori della giustizia sociale e della pace, ma c’è anche si muove al rovescio. La difesa dei valori morali e dei diritti umani è efficace e credibile, quando è globale e non settoriale.

Rileggiamo il fondamento dei principi non negoziabili sulla natura e sulla ragione che Benedetto XVI fece nel  discorso a Berlino: "Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto; ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio. Con ciò i teologi cristiani si sono associati a un movimento filosofico e giuridico che si era formato sin dal secolo II a. C. Nella prima metà del secondo secolo precristiano si ebbe un incontro tra il diritto naturale sociale sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto romano. In questo contatto è nata la cultura giuridica occidentale, che è stata ed è tuttora di un’importanza determinante per la cultura giuridica dell’umanità. Da questo legame precristiano tra diritto e filosofia parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla dichiarazione dei diritti umani e fino alla nostra legge fondamentale tedesca, con cui il nostro popolo, nel 1949, ha riconosciuto 'gli inviolabili e inalienabili diritti dell'uomo come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo'".

Dunque, il pericolo più grave nel dialogo dal punto di vista laico e religioso nei confronti dei valori non negoziabili, non è l’appartenenza confessionale o meno, è il relativismo culturale, che danneggia il tessuto democratico in cui si fondono i valori non negoziabili come fondamento stesso della società. Infatti “il valore della democrazia sta o cade con i valori ch'essa incarna e promuove. Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli mag­gioranze di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto legge naturale, è iscritta nel cuore dell'uomo ed è punto di riferimento normativo della stessa legge civile. (...) Quando una maggioranza parlamenta­re o elettorale decreta la legittimità della soppressione della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione ti­rannica nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso? (...) Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo di coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse” (San Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 25 marzo 1995).

Le radici cristiane dell’Europa. Se valorizza le sue radici cristiane, l’Europa e ogni singola nazione, sarà capace di dare una direzione sicura alle opzioni dei suoi cittadini e dei suoi popoli, rafforzerà la sua consapevolezza di appartenere ad una civiltà comune e alimenterà l’impegno di affrontare le sfide del presente per ottenere un futuro migliore. Da questa prospettiva nasce la ricerca di un modello sociale che risponda adeguatamente alle esigenze di un’economia globalizzata e dei cambiamenti demografici , assicurando la crescita e l’impiego, la protezione della famiglia, l’uguaglianza delle opportunità per l’istruzione dei giovani e l’assistenza ai poveri. Il sostegno al patrimonio cristiano può inoltre contribuire in modo decisivo alla sconfitta di una cultura che ora si è diffusa chiaramente in Europa e che relega alla sfera privata e soggettiva la manifestazione delle proprie convinzioni religiose. Le politiche fondate su questa base non implicano solo il ripudio del ruolo pubblico del cristianesimo, ma più in generale escludono l’impegno nella tradizione religiosa dell’Europa, estremamente chiara nonostante le sue varietà confessionali, diventando una minaccia per la democrazia stessa, la cui forza dipende dai valori che promuove.

Difesa dell’identità europea. L’Europa, deve preservare la sua identità e la sua tradizione civile e culturale. Ma spesso gli europei si nascondono “dietro una cortina fumogena fatta di bolsa retorica e di parole vuote, del tipo (una delle preferite): “difenderemo i nostro valori e i nostri principi”. Il bello (o il brutto) è che questi valori e principi vengono spesso lasciati nel vago. Questa “bolsa retorica” nasconde in realtà molti scheletri nell’armadio, perché l’Europa ex-cristiana sta portando avanti progetti che sono tutt’altro che “valori”, senza dimenticare che da tempo ha ingoiato il rospo dell’aborto come se fosse una caramella.  Panebianco,  sul Corriere della Sera, fa l’elenco di tre “valori” a cui non si può e non si deve rinunciare (ed è curioso che sia lui a riprendere l’espressione di “principi non negoziabili”): 1) la laicità; 2) l’uguaglianza giuridica di tutti davanti alla legge a prescindere da sesso e religione; 3) la libertà individuale. Sono tutti e tre importanti, anche se sulla libertà individuale andrebbe precisato che non c’è libertà senza responsabilità verso gli altri. Ma è interessante come il giornalista, descrive la laicità, dichiarandola “fondata sulla capacità di distinguere fra il sacro e il profano, fra il regno di Dio e il regno di Cesare”. Ebbene come tutti sanno, questa distinzione non l’ha fatta Platone, non l’ha fatta Cicerone, non l’ha fatta Kant, e neppure i padri della Rivoluzione Francese! L’ha fatta Gesù Cristo quando disse: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Allora se la laicità è il primo e irrinunciabile valore che l’Europa deve difendere per non svendere la propria anima nei confronti della cultura islamica, riconosca che questo valore le viene dalla tradizione cristiana.

L’identità dell’Europa è in crisi?  I Padri fondatori dell'Unione europea, volevano fondare una nuova Europa sulla fiducia nell'uomo, non tanto in quanto cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente. Il cittadino non basta. Il soggetto economico non basta. Occorre riconoscere nell'uomo lo stretto legame che esiste fra queste due parole: "dignità" e "trascendente". Ma questo che cosa significa? In Europa, è nata l'autentica nozione dei diritti della persona, che trova il suo fondamento nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente  dando luogo proprio al concetto di “persona”. Ecco perché “la civiltà di un popolo si misura dalla sua capacità di servire la vita. Ognuno, secondo le proprie possibilità, professionalità e competenze, si senta sempre spinto ad amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. È infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale” (Benedetto XVI, Angelus Domini, 3 febbraio 2008).

Compito delle Istituzioni. La politica, quale titolare del bene di tutti (bene comune), non si esaurisce di certo nell’ambito legislativo, ma questo rappresenta un luogo eminente dove i valori morali e i diritti umani possono essere tradotti nella realtà sociale oppure, viceversa, traditi; un luogo pubblico dove si determinano orientamenti profondi, in positivo e in negativo, che segnano il futuro delle presenti e future generazioni. Al legislatore si pongono questioni nuove che riguardano le modalità del nascere umano (procreazione medicalmente assistita); del morire umano (accanimento terapeutico, eutanasia, testamento biologico); le nuove forme di convivenza (unioni di fatto), le sfide poste dal progresso inarrestabile della biologia e dalla genetica: sperimentazioni sull’embrione, le discriminazioni basate sul patrimonio genetico, i traffici di organi, le cliniche specializzate nell'eutanasia, i tentativi di clonazione, ecc. Dato il pluralismo culturale, in base a quale criterio le leggi sono giuste/ingiuste? Il criterio che permette di discernere tra leggi giuste/ingiuste è dato dalla morale umana, quella cioè che fa riferimento ai valori morali e ai diritti umani che sono di tutti e appartengono a tutti. Si tratta, pertanto, di un criterio razionale (non confessionale). I laici pensano, a torto, che i cattolici pretendono di trascrivere la loro morale nelle leggi dello Stato, di trasferire il codice canonico nel codice civile. Ma non è così. Il diritto alla vita di ogni essere umano, dal suo inizio al suo naturale tramonto (dunque la contrarietà all’aborto e all’eutanasia), non è un diritto cattolico (o dei cattolici) ma semplicemente un diritto umano; il diritto del nascituro ad avere una famiglia (genitori certi, una chiara identità genetica), non è un diritto cattolico, ma un diritto umano; la tutela giuridica dell’embrione umano (contro ogni sperimentazione e utilizzo strumentale) non è una questione cattolica, ma semplicemente umana, ecc. La difesa dei diritti umani è un test fondamentale per distinguere l'autentica dalla falsa democrazia. Lo stato moderno ha giustamente fondato la sua autorità sul principio di uguaglianza tra gli esseri umani. Ma il principio di uguaglianza è contraddetto quando la legge civile riconosce come titolare di diritti soltanto alcuni e lo nega agli altri. L’Europa per rafforzare la sua identità, non può prescindere da questi dati fondamentali.

“Rivendicare il diritto all'aborto, all'infanticidio, all'eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34). Nel ricercare le radici più profonde della lotta tra la «cultura della vita» e la «cultura della morte», non ci si può fermare all'idea perversa di libertà sopra ricordata. Occorre giungere al cuore del dramma vissuto dall'uomo contemporaneo: l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, tipica del contesto sociale e culturale dominato dal secolarismo, che coi suoi tentacoli pervasivi non manca talvolta di mettere alla prova le stesse comunità cristiane. Chi si lascia contagiare da questa atmosfera, entra facilmente nel vortice di un terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita; a sua volta, la sistematica violazione della legge morale, specie nella grave materia del rispetto della vita umana e della sua dignità, produce una sorta di progressivo oscuramento della capacità di percepire la presenza vivificante e salvante di Dio” (San Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 25 marzo 1995).

Le sfide dell’Europa. Boris Biancheri parlava di due fenomeni di segno opposto che influiscono in modo radicale sulle relazioni internazionali di questo secolo: globalizzazione e frammentazione. Nel mondo di oggi – quello dei mercati unici e delle migrazioni intercontinentali, delle mobilitazioni globali fatte di hashtag e video virali – nessuno può davvero pensare di tornare indietro, di chiudersi nella propria piccola parte di mondo, nelle certezze di ciò che si è conosciuto, di ciò che è rassicurante. Se anche qualcuno non volesse andare incontro al mondo, alla sua complessità e anche alla sua  bellezza, sarebbe il mondo ad andarlo a cercare nel suo illusorio e fragile rifugio di certezze. Non ci sono confini. Ma il mondo globalizzato è anche un mondo di identità sempre più frammentate e forse per questo più fragili, spaventate. I ghetti non sono scomparsi, i nazionalismi non sono tramontati, i confini tracciati nel Novecento vengono sempre più spesso messi in discussione. Viene da chiedersi allora se dobbiamo rassegnarci a questo disordine non solo europeo ma anche globale. E’ necessario affrontare le sfide, costruendo un nuovo equilibrio basato sui valori e principi non negoziabili e sull’identità cristiana dell’Unione. L’aspetto che più tormenta l’identità dell’Europa, è rappresentato dal grande flusso migratorio che in questi ultimi anni ha subito una fortissima accelerazione a causa delle guerre che si sono scatenate soprattutto nella fascia mediorientale, causando una seria crisi nell’approccio alla fede e ai costumi sociali.

Europa e immigrazione. L’Europa affronta una crisi legata all’arrivo dei migranti, ma non la crisi che immaginiamo. Il continente, infatti, si trova di fronte a un dilemma: da un lato, qualunque politica sulle migrazioni che voglia essere morale e praticabile non godrà, per il momento, di un mandato democratico; dall’altro, qualsiasi politica che abbia sostegno popolare sarà probabilmente immorale e impraticabile. Il dilemma non dipende dal fatto che i popoli europei sono particolarmente inclini a politiche immorali o impraticabili, ma dal modo in cui, negli ultimi trent’anni, la questione dell’immigrazione è stata presentata dai politici di tutti gli schieramenti: come una necessità e come un problema con il quale fare necessariamente i conti. Tutto ciò, nasce dal rigetto dell’identità, che sicuramente “funzionerebbe”, come catalizzatore per “arginare” positivamente il fenomeno migratorio, e quindi ottenere una “integrazione”, migliore e non soltanto sbilanciata nell’”approvare” continuamente usi e costumi estranei alla cultura occidentale. È possibile conciliare l’adozione di politiche etiche e praticabili sulle migrazioni con le aspirazioni democratiche dell’opinione pubblica europea? Tanti sembrano voler fare a meno di un mandato democratico, altri sembrano disposti a rinunciare a una politica giusta e praticabile. L’opinione prevalente è che l’Europa abbia bisogno di controlli più rigidi, di recinti più alti, di più pattugliamenti militari. Invece è altrettanto necessario costruire ponti, corridoi, accoglienza, verso quanti varcano le nostre terre. Anche se queste misure sembrano troppo da “dittatura”, bisognerebbe uscire dalle ideologie dei muri e degli steccati, per entrare in quella dimensione democratica capace di discernere e rispondere concretamente ai flussi migratori. Certamente non è possibile ospitare quanti giungono con secondi fini in Europa che viene guardata dal mondo fondamentalista islamico, come terra di conquista. Ecco perché, paradossalmente, il dibattito sull’immigrazione non può essere vinto solo parlando di immigrazione, né la crisi dei migranti può essere risolta solo mettendo in atto politiche sulle migrazioni. Le paure attuali sono espressione di una più ampia sensazione di non avere voce e peso nella sfera politica. Finché non sarà affrontato questo problema, l’arrivo dei migranti sui lidi europei continuerà a essere senza controllo e quindi potrebbe causare nel tempo sei problemi, non solo all’Europa, ma anche al resto del mediterraneo.

Europa e terrorismo.  Nella lotta al terrorismo, i nostri sistemi legislativi, giudiziari e penali hanno qualche efficacia finché a dover essere governati sono solo gli educati ed impauriti cittadini occidentali, ma diventano drammaticamente inadeguati, non appena ci si pone il problema di combattere individui e gruppi la cui propensione al rischio è incomparabilmente maggiore di quella del cittadino comune, sia esso nativo o immigrato, di prima, seconda o terza generazione. Il borghese benpensante e rispettabile, ma anche semplicemente il piccolo artigiano che si è fatto da sé, non possono permettersi neppure una notte in gattabuia, o un blando procedimento penale per qualche reato amministrativo. Ma ladri e criminali e terroristi, che spadroneggiano nelle nostre città e nei nostri quartieri, se la ridono di gusto di fronte alle nostre procedure, tanto più in paesi-colabrodo come l'Italia e il Belgio. Noi italiani siamo stra-abituati, quando viene commesso un crimine violento, a scoprire quante volte il suo autore era già stato arrestato, condannato e rilasciato, e non può che averci provocato un sussulto di amara consolazione apprendere che uno dei terroristi dell'ultimo attentato di Bruxelles era già stato condannato a 10 anni di reclusione e scarcerato dopo soli 3 anni, nonostante la gravità dei reati commessi (compreso un conflitto a fuoco con la polizia, a colpi di kalashnikov). Per non parlare delle ultime indagini antiterrorismo che hanno portato al terribile attentato di Bruxelles.

I cittadini europei, hanno una elevatissima avversione al rischio. L'immigrato medio ha un retroterra di esperienze e di sofferenze che lo rende enormemente più disponibile ad assumere rischi, nel bene come nel male. Se una ragazza subisce un'aggressione in un tram, o un bambino rischia di annegare fra i gorghi di un fiume, è più facile che siano soccorsi da un immigrato che da un civilissimo cittadino europeo. Simmetricamente, nella manovalanza criminale gli stranieri sono sistematicamente sovra rappresentati rispetto ai nativi, presumibilmente anche per la loro minore avversione al rischio. Queste differenze diventano ovviamente abissali nel caso dei terroristi islamici autentici, ossia realmente convinti che l'unica cosa che li separa dal paradiso di Allah è la cordicella del detonatore che li farà esplodere.

Reclutamento dei terroristi in Europa.  L’ISIS, e altre organizzazioni fondamentaliste, stanno eseguendo un massiccio programma di reclutamento che si propone all'avanguardia diffondendo notizie delle sue presunte vittorie e delle sue efferatezze attraverso i social media e Internet. L'elemento psicologico che si può ravvisare in tali procedimenti che nasce fondamentalmente dal vuoto culturale e d’identità, è quello della ricerca di fare leva sul senso del dovere religioso delle potenziali reclute che, il più spesso delle volte si rappresentano come soggetti che non posseggono una profonda conoscenza dell'Islam: individui credenti e praticanti, non capaci di possedere un senso critico sul proprio Credo, possono infatti venire attratti da un sistema semplice in black and white, un noi contro loro, convinzione che, storicamente inculcata dalla maggior parte delle scuole coraniche, domina oggi tra i giovani. Le nuove leve vengono sedotte da visuali avventurose che vengono prospettate come una possibilità di sfuggita alle frustrazioni della vita occidentale. Dai report d'intelligence traspare come gli adolescenti e le donne - più facilmente impressionabili - siano le vere prede ad essere attratte dai "cattivi ragazzi" jihadisti che vantano delle loro sanguinarie gesta. Avanti a questo problema le azioni dei governi mirano ad interrompere il flusso di manovalanza al terrorismo e per questo assistiamo al recente lavoro di cattura di affiliati a cellule islamiche. Le ragioni che spingono questi soggetti ad abbracciare l'estremismo violento trovano spesso contezza nella povertà e nell'oppressione.

I dati raccolti dalle dichiarazioni biografiche rese da questi soggetti evasi nel Medioriente suggeriscono una serie di motivazioni verso tali atti: alienazione, crisi personali, insoddisfazioni legate alla propria vita spirituale o mere crisi adolescenziali. Secondo le stime di intelligence circa ventimila combattenti di altri Paesi si sono uniti alla lotta in Siria ed in Iraq. La maggior parte si ritiene membro dell'ISIS e costituiscono gran parte della forza. Le provenienze sono varie: sia, per la maggioranza, da altri Paesi arabi, che, circa il 15%, da parte di zone occidentali, in particolare dall'Europa. Il primo ministro francese ha recentemente riferito che - dai dati a sua disposizione - il numero totale degli europei che migreranno in Medioriente per la causa terroristica potrebbe salire a diecimila entro la fine dell'anno.

Conclusioni.  I valori, che costituiscono l’anima del continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come "fermento" di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il "vecchio" continente continuare a svolgere la funzione di "lievito" per il mondo intero? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di "apostasia" da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità?  Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la "ponderazione dei beni" sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà, se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo. Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, finisce per non fare il bene di nessuno.

Ecco perché appare sempre più indispensabile che l’Europa si guardi da quell’atteggiamento pragmatico, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l’inevitabile accettazione di un presunto male minore. Tale pragmatismo, presentato come equilibrato e realista, in fondo tale non è, proprio perché nega quella dimensione valoriale ed ideale, che è inerente alla natura umana. Quando, poi, su un tale pragmatismo si innestano tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce per negare ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per lo meno, se ne squalifica il contributo con l’accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi. Per concludere, Benedetto XVI, così esortava i vescovi europei: “voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato (cfr Matteo 5,13). Il Signore renda fecondo ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi positivi presenti nell’odierna civiltà, denunciando però con coraggio tutto ciò che è contrario alla dignità dell’uomo. Sono certo che Iddio non mancherà di benedire lo sforzo generoso di quanti, con spirito di servizio, operano per costruire una casa comune europea dove ogni apporto culturale, sociale e politico sia finalizzato al bene comune”.

Don Salvatore Lazzara*

 

* Per la stesura del presente approfondimento sono state usate le seguenti fonti: "Principi non negoziabili, perchè è giusto parlarne" di Stefano Fontana; "Quali sono i valori non negoziabili", di Francesco D'Agostino; "Europa, riscopri la verità e le radici cristiane" di Massimo Introvigne; valori_non_negoziabili_e_contrapposizione_laici-ca.pdf in Messaggero Cappuccini (2008) 2, 18-20; "Laicità, un valore cristiano europeo", di Enrico Cattaneo; "Terrorismo, perchè l'Europa è impotente" di Luca Ricolfi; "Il reclutamento dei terroristi islamici" di Nicolò Giordana; "Evangelium Viate" di Giovanni Paolo II; "Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici sulla vita politica", della Congregazione per la Dottrina della Fede. 

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