L'uso delle armi chimiche da parte dai terroristi dell’ISIS, contro l’aeroporto militare di Dayr az Zor, non ha interessato i soliti mezzi di comunicazione, che hanno annunciato con il beneficio del dubbio, l’assalto contro la cittadina siriana. Certamente se l’autore della strage veniva identificato nel governo siriano, avremmo avuto per giorni - nelle prime pagine dei quotidiani-, reportage dettagliati dei “crimini contro i civili”, perpetrati da una dittatura retrogada e sanguinaria. Siccome a sganciare le bombe chimiche sono stati i fondamentalisti islamici che l’Occidente e i loro alleati del golfo chiamano “ribelli moderati”, allora è opportuno non spingersi oltre, perché le notizie prima di pronunciarsi, devono essere verificate sotto la lente di ingrandimento. L’ ipocrisia mediatica, sostenuta dalle potenze interessate nel conflitto, non cerca il bene del popolo, ma distorce la realtà, piegandola agli interessi di quanti non vogliono la fine del conflitto in Siria. Secondo il sito Internet in arabo di Russia Tv, che cita l'agenzia russa Ria Novosti a Dayr az Zor i “miliziani di Daesh hanno attaccato con proiettili contenenti sostanze chimiche velenose. I militari di stanza nella base aerea hanno riferito di casi di soffocamento di alcuni soldati”.
L’attacco è l’ennesimo di una serie, realizzati - si teme - proprio con armi chimiche, compiute dai jihadisti in Siria e nel vicino Iraq. Il 9 marzo, un sospetto attacco chimico contro la città di Taza, a sud di Kirkuk, in Iraq, causò la morte di tre bambini e lasciò circa 1.500 persone con gravi difficoltà respiratorie, abrasioni di vario tipo ed eruzioni cutanee. Finora gli attacchi con le armi chimiche dei terroristi dell’Isis sono stati poco letali, ma hanno avuto un notevole impatto psicologico sulla popolazione: il mese scorso, dopo l’attacco a Taza, circa 25mila persone fuggirono dalle loro case, temendo un altro attacco chimico. A febbraio l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) ha confermato i rapporti in base ai quali contro le forze curde nel nord dell'Iraq durante tutto il 2015 sono state utilizzate armi chimiche.
Il conflitto armato in Siria è in corso dal 2012. Le truppe governative si scontrano con i guerriglieri appartenenti a vari gruppi armati. Durante la guerra nel paese, secondo le Nazioni Unite, sono morte più di 220 mila persone. L’intervento della comunità internazionale è stato flebile. Ha permesso l’avanzata dell’ISIS e la distruzione del grande patrimonio artistico e culturale della Siria. In questi anni di conflitto, non sono riusciti ad ottenere risultati di rilievo nella lotta al terrorismo. Solo con l’intervento della Russia, lo scenario è cambiato. L'aeronautica militare russa ha cominciato ad attaccare le posizioni dei guerriglieri il 30 settembre 2015. I piloti sono riusciti ad infliggere danni significativi ai terroristi e a privarli dei rifornimenti. L’ISIS, ha cominciato ad arretrare subendo importanti sconfitte nel territorio. Molti dopo le pesanti sconfitte, sono fuggiti verso la Libia, dove hanno continuato le operazioni di destabilizzazione del paese. Dal 27 febbraio in Siria è in vigore il regime di cessate il fuoco, concordato tra le forze di opposizione e di governo, con la mediazione della Russia e degli Stati Uniti. La tregua non si applica ai gruppi terroristici riconosciuti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che naturalmente continuano nel territorio le operazioni militari.
La disfatta dell’Occidente, è stata evidente durante la liberazione di Palmira. La città era in mano all’ISIS da diversi mesi. Nonostante la coalizione internazionale con i moderni mezzi militari ne conosceva le mosse e soprattutto le intenzioni, non ha mosso un dito per fermarne l’avanzata. Solo con intervento della Russia, la questione è stata risolta. La freddezza dei potenti dinanzi alla liberazione dalle storica città, è la dimostrazione più evidente del fallimento politico e militare che ha ispirato gli interventi in Siria e Medio Oriente. La risposta non si è fatta attendere. Come sempre è stata attivata la grande macchina del fango, per screditare dinanzi all’opinione pubblica l’operato del governo siriano. Un ristretto numero di quotidiani internazionali e nostani, sono venuti a conoscenza di un documento, composto di 35 punti, attraverso il quale quattro influenti famiglie della comunità alawita – la stessa del presidente siriano – chiede un “nuovo corso” nel paese. La notizia, gridata e sottolineata a caratteri cubitali dai maggiori organi di informazione nazionale, tende a delegittimare Assad, e a dimostrare, attraverso la richiesta di un cambiamento al vertice dello Stato, come lo stesso non goda più del sostegno della comunità di provenienza.
“L’immagine di Assad nell’opinione pubblica internazionale è notevolmente cambiata, da feroce tiranno e pericolo per la sicurezza mondiale si è trasformato nell’uomo che comunque ha guidato un paese nella lotta contro il terrorismo globale e il radicalismo islamico, afferma Francesco Gori. Un’immagine che l’Occidente tenta di screditare in tutti i modi, utilizzando anche i media più influenti. Del resto è quanto accaduto nel corso di una guerra dove la manipolazione delle notizie a favore dei gruppi dell’opposizione armata al governo di Damasco è stata sistematica e largamente documentata”.
Dopo le complesse operazioni di bonifica da parte dei militari russi in coordinamento con l’esercito arabo siriano, nella città di Sadad si registrano i primi ritorni di famiglie cristiane che erano espatriare in Europa per sfuggire alle violenze del conflitto. Lo riferisce ai media russi Suleiman al Khalil, sindaco della città situata nella provincia di Homs. “I cristiani che avevano lasciato la Siria per l'Europa cominciano a tornare a Sadad e anche in altre città” riferisce Khalil, aggiungendo che i ritorni sono favoriti dalla fiducia suscitata dal successo delle operazioni militari sostenute dalla Russia e dalla perdurante tenuta del cessate il fuoco concordato a Monaco di Baviera il 12 febbraio. Negli ultimi tre mesi – riferisce il sindaco Suleiman al Khalil – almeno cento cristiani di Sadad fuggiti fuori dalla Siria hanno fatto ritorno alle proprie case, e si attende presto il rientro di altri duecento. La città si trova a 14 chilometri dalla strada che unisce Damasco a Homs, ed è disseminata di ben 15 chiese.
Al Nusra a Sadad ha compiuto massacri. Trovate fosse comuni. Sadad prima del conflitto era una città di circa 12mila abitanti, in maggioranza cristiani assiri e siro ortodossi. Negli anni di guerra, almeno mille di loro erano fuggiti fuori dalla Siria, compreso l’arcivescovo Selwanos Boutros Alnemeh, metropolita siro-ortodosso di Homs e Hama. Secondo fonti ecclesiastiche locali, nell'ottobre 2013 durante la temporanea conquista della città da parte dei jihadisti di al Nusra, sono stati compiuti massacri sulla popolazione civile, confermati dal ritrovamento di una fossa comune con almeno 30 cadaveri. Lo scorso novembre, anche i jihadisti dello Stato Islamico (Daesh) avevano provato a riconquistare la città, attaccando i posti di blocco dell'esercito siriano.
Don Salvatore Lazzara*
* L'articolo è disponibile anche sul sito farodiroma.it: "L'attacco chimico di Dayr az Zor nell'assoluta indifferenza dell'Occidente"