giubileo11

Quanti hanno cercato di mettere in contrapposizione il magistero dei Pontefici, oggi hanno avuto la prova del contrario. Papa Francesco conferma la linea indicata nel luglio 2005 da Benedetto XVI ai preti della Valle d'Aosta: se manca una fede matura il sacramento del matrimonio è invalido e dunque si deve dichiararlo nullo. Ora alla riflessione di Ratzinger, Papa Francesco con i “motu proprio” stabilisce su come si possano istruire processi più rapidi anche nel caso che il matrimonio sia invalido per mancanza di fede. E’ opportuno riportare quella famosa risposta, per riallacciare la lunga catena della tradizione della Chiesa, mai interrotta o modificata dai successori dell'Apostolo Pietro:

“Sappiamo tutti che questo è un problema particolarmente doloroso per le persone che vivono in situazioni dove sono esclusi dalla comunione eucaristica e naturalmente per i sacerdoti che vogliono aiutare queste persone ad amare la Chiesa, ad amare Cristo. Questo pone un problema. Nessuno di noi ha una ricetta fatta, anche perché le situazioni sono sempre diverse. Direi particolarmente dolorosa è la situazione di quanti erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal Sacramento. Questa è realmente una sofferenza grande e quando sono stato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho invitato diverse Conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un momento di invalidità perché al sacramento mancava una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito. Ma data la situazione di sofferenza di queste persone, è da approfondire.

Non oso dare adesso una risposta, in ogni caso mi sembrano molto importanti due aspetti. Il primo: anche se non possono andare alla comunione sacramentale non sono esclusi dall'amore della Chiesa e dall'amore di Cristo. Una Eucaristia senza la comunione sacramentale immediata non è certamente completa, manca una cosa essenziale. Tuttavia è anche vero che partecipare all'Eucaristia senza comunione eucaristica non è uguale a niente, è sempre essere coinvolti nel mistero della Croce e della risurrezione di Cristo. È sempre partecipazione al grande Sacramento nella dimensione spirituale e pneumatica; nella dimensione anche ecclesiale se non strettamente sacramentale. E dato che è il Sacramento della Passione di Cristo, il Cristo sofferente abbraccia in un modo particolare queste persone e comunica con loro in un altro modo e possono quindi sentirsi abbracciate dal Signore crocifisso che cade in terra e muore e soffre per loro, con loro. Occorre, dunque, fare capire che anche se purtroppo manca una dimensione fondamentale tuttavia essi non sono esclusi dal grande mistero dell'Eucaristia, dall'amore di Cristo qui presente. Questo mi sembra importante, come è importante che il parroco e la comunità parrocchiale facciano sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare l'inscindibilità del Sacramento e, dall'altra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche soffrire con loro, perché danno una testimonianza importante, perché sappiamo che nel momento in cui si cede per amore si fa torto al Sacramento stesso e l'indissolubilità appare sempre meno vera.

Conosciamo il problema non solo delle Comunità protestanti ma anche delle Chiese ortodosse che vengono spesso presentate come modello in cui si ha la possibilità di risposarsi. Ma solo il primo matrimonio è sacramentale: anche loro riconoscono che gli altri non sono Sacramento, sono matrimoni in modo ridotto, ridimensionato, in una situazione penitenziale, in un certo senso possono andare alla comunione ma sapendo che questo è concesso "in economia" - come dicono - per una misericordia che tuttavia non toglie il fatto che il loro matrimonio non è un Sacramento. L'altro punto nelle Chiese orientali è che per questi matrimoni hanno concesso possibilità di divorzio con grande leggerezza e che quindi il principio della indissolubilità, vera sacramentalità del matrimonio, è gravemente ferito.

Da una parte, dunque, c'è il bene della comunità e il bene del Sacramento che dobbiamo rispettare e dall'altra la sofferenza delle persone che dobbiamo aiutare. Il secondo punto che dobbiamo insegnare e rendere credibile anche per la nostra stessa vita è che la sofferenza, in diverse forme, fa necessariamente parte della nostra vita. E questa è una sofferenza nobile, direi. Di nuovo occorre far capire che il piacere non è tutto. Che il cristianesimo ci dà gioia, come l'amore dà gioia. Ma l'amore è anche sempre rinuncia a se stesso. Il Signore stesso ci ha dato la formula di che cosa è amore: chi perde se stesso si trova; chi guadagna e conserva se stesso si perde. È sempre un Esodo e quindi anche una sofferenza. La vera gioia è una cosa distinta dal piacere, la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la Croce di Cristo. Solo qui nasce la vera gioia della fede, dalla quale anche loro non sono esclusi se imparano ad accettare la loro sofferenza in comunione con quella di Cristo".

Di seguito il video dell'incontro con le famiglie del mondo del Papa Emerito Benedetto XVI del 02 Giugno 2012 a Bresso:

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La pastorale che sta conducendo Papa Francesco per portare la Chiesa unita ai due grandi appuntamenti di questo storico 2015 (dal 5 ottobre il Sinodo sulla famiglia, dall'8 dicembre l'Anno Santo straordinario della Misericordia) non può passare inosservato: la decisione di consentire a tutti i sacerdoti di perdonare chi ha abortito o procurato aborti, la benedizione alla ragazza madre incinta di un figlio concepito fuori dal matrimonio, i due "motu proprio" con cui si è reso più agevole il percorso per arrivare alla nullità del matrimonio, sono scelte troppo evidenti, troppo comunicativamente forti, troppo ravvicinate anche temporalmente per non essere parte di un progetto consapevole di natura pastorale che Papa Francesco sta elaborando e portando avanti. Papa Francesco spiega che la “preoccupazione per la salvezza delle anime” rimane il fine supremo delle istituzioni, delle leggi e del diritto della Chiesa: per questo si è sentito in dovere di intervenire. E così sintetizza i criteri della riforma. Innanzitutto, una sola sentenza in favore della nullità che diventa esecutiva; la costituzione di un giudice unico che agisce sotto la responsabilità del vescovo; il vescovo stesso che diventa giudice. Un processo più breve, ma senza mettere a rischio l'indissolubilità del matrimonio, e qui spetterà al vescovo vigilare. L'eventuale appello, nel caso una delle parti voglia ricorrere contro la sentenza di primo grado, avverrà nelle sede metropolitana, cioè nell'arcidiocesi metropolitana a cui fa riferimento la diocesi del fedele. E i giudici di secondo grado, di fronte a un appello che sia manifestamente dilatorio, cioè basato su cavilli destinati ad allungare i tempi di fronte a una sentenza sfavorevole, potranno confermare in tempi celerissimi la prima sentenza. Alle conferenze episcopali viene richiesto di favorire la gratuità delle procedure. Rimane in vigore la possibilità dell'appello alla Rota Romana.

Poi è arrivata anche la vicenda profughi, la foto di Aylan, la scelta della Merkel contrapposta a Orban, infine il richiamo di Papa Francesco ai Vescovi d'Europa affinché ogni diocesi, parrocchia, monastero diventasse luogo di accoglienza per i rifugiati. E allora la fotografia del pontificato di Francesco è diventata estremamente nitida, caratterizzabile persino con una sola parola: inclusione. La Chiesa di Francesco è la Chiesa del riformare senza rinnegare, è pienamente dentro la tradizione dottrinale ma dal punto di vista pastorale ha un evidente elemento di innovazione. Il Papa si rivolge a persone che la vita porta inevitabilmente ai margini della vita ecclesiale: divorziati, divorziati risposati, donne che hanno abortito, procuratori di aborti, omosessuali, transessuali, migranti anche di religioni apertamente ostili al cattolicesimo romano, ragazze madri, figli nati fuori dal matrimonio. Lo sforzo è inclusivo ed è quello di lasciare le novantanove pecore per la ricerca da pastore della pecora persa "finché non la ritrova".

L’appello lanciato all’Angelus domenicale, affinché ogni parrocchia d'Europa, così come le comunità religiose e monastiche e ai santuari, accolgano una famiglia di profughi in fuga dalle guerre e dalla fame ha suscitato immediata adesione nei media e in molti ambienti ecclesiali europei. Ma nei Paesi mediorientali stravolti dalle scorribande jihadiste, l'iniziativa appare sotto una luce diversa. E se ne intravvedono implicazioni e potenziali ricadute poco considerate nel fiume di reazioni positive registrate in Occidente. Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro cattolico di Hassakè-Nisibi, è abituato a parlar chiaro. Un’attitudine accentuata dai quattro anni di guerra sopportati nella regione nord-orientale di Jazira, una delle aree più contese della Siria. Lo scorso giugno, quando i jihadisti dello Stato Islamico hanno assaltato Hassakè conquistandone molti quartieri, sono arrivati a poche centinaia di metri dal suo episcopio. Adesso, a suo giudizio, la mobilitazione delle Chiese europee nell’accoglienza dei profughi in fuga dalla Siria e da altri scenari di guerra potrebbe innescare effetti collaterali non calcolati.

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C'è una parola che però la lettura laica e laicista dimentica nella narrazione interessata della pastorale di Francesco ed è "pentimento". Il Papa non propone una Chiesa inclusiva a tutti i costi, a prescindere dall'atteggiamento dei singoli. La proposta di Papa Francesco è una Chiesa materna, accogliente, solo a patto del riconoscimento del peccato compiuto. Non c'è quella "abolizione del peccato in nome della misericordia" che gli Eugenio Scalfari (alcuni dei quali anche senza la barba bianca si proclamano pure cattolici) vogliono far credere al mondo. La frase è sempre la più nota di questo pontificato e non è "chi sono io per giudicare?", ma "chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?". E' nella ritrovata passione per la ricerca di Dio la chiave della salvezza dell'uomo contemporaneo e Papa Francesco lavora incessantemente per riattizzare questa passione, rimuovendo gli ostacoli più banali all'incontro possibile tra la persona e Cristo. Questa è la chiave della sua invocazione continua di misericordia, è il messaggio di Gesù all'adultera: "Va' e non peccare più". Che non è il "va' e fa come ti pare" che vuol far credere la vulgata corrente.

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Il Santo Padre non sta proponendo un'idea di libertà che subisce le mode del mondo e considera dunque legittimo ogni comportamento, lavandolo alla fonte di una generica e indistinta misericordia tutta e solo umana. La proposta è quella di far bere all'uomo assetato contemporaneo l'acqua dell'incontro con Cristo, generando desiderio di verità e rimuovendo gli ostacoli più moralisti, perché la Chiesa non è mai stata moralista. La sfida è enorme. Ma resterà deluso chi pensa o scrive che il Papa apre al matrimonio gay o vara con i due "motu proprio" sulla Rota una sorta di "divorzio breve" in salsa cattolica o benedicendo una ragazza madre piuttosto che abbracciando un transessuale modifica in termini sostanziali la dottrina della Chiesa sulla famiglia. In tutti questi casi il Papa ripete sempre con nettezza i contorni del peccato e contro l'ideologia gender tuona con parole mai udite prima come quelle sulla "colonizzazione ideologica", "lo sbaglio della mente umana" o l'assimilazione dei metodi educativi riservati alla "gioventù hitleriana". Il Santo Padre, peraltro riafferma con grande insistenza il ruolo del magistero petrino, del Successore di Pietro, assumendosi responsabilità in termini personali che risuonano molto forti nei documenti che hanno apportato queste che certamente sono innovazioni (pastorali, non dottrinali, lo ripeto a scanso di equivoci). E' una Chiesa insomma più forte, non più debole, quella che propone al mondo l'incontro con la Verità e la lotta contro il Male e il peccato. A noi, anche a noi ultimi tra i peccatori, il compito di essere umili testimoni di quel che sta accadendo, comunicandone la forza, che alcuni interessati interpreti propagandano per debolezza o accondiscendenza. Tutto il contrario della misericordia.

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Don Salvatore Lazzara*

* Alcune considerazioni e riflessioni sono tratte da un post di Mario Adinolfi.

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