Famiglienogender11

Pochi sanno che il ddl sulle unioni civili, noto come ddl Cirinnà, è stato il primo provvedimento di rilievo depositato come disegno di legge nelle aule parlamentari in questa legislatura. Ha infatti il numero 14 ed è in ballo dunque da due anni e mezzo, visto che la XVII legislatura repubblicana si è aperta il 15 marzo 2013. Cominciai ad analizzarne il testo subito dopo aver cominciato a scrivere Voglio la mamma, nel settembre dello stesso anno, trovandolo inconsistente e giuridicamente ai limiti del ridicolo. La prima stesura del ddl faticò per questo motivo ad imporsi e in un'intervista ad Avvenire dell'estate 2014 la bocciò lo stesso Matteo Renzi che parlò di un accantonamento di quel ddl, annunciando per l'autunno una "iniziativa governativa" sul tema unioni civili.

L'iniziativa governativa in realtà non arrivò mai, ma il ddl Cirinnà venne preso in mano da qualcuno che sapeva di diritto, venne completamente riscritto e ripresentato nella stesura attuale per approdare nel 2015 nell'attuale stesura alla seconda commissione del Senato. Il 13 gennaio 2015 uscì in edicola il primo numero de La Croce e cominciò da subito il nostro racconto dei pericoli insiti in quel provvedimento. Si cominciava finalmente a parlare di ideologia gender, per la verità senza associarla mai al ddl sulle unioni civili: in una certa fase avemmo l'impressione che il gender fosse il modo con cui distrarre una certa sensibilità dalla battaglia sul ddl Cirinnà.

Credo che se La Croce ha un merito è quello di aver spiegato al paese il ddl Cirinnà in tutta la sua pericolosità, con un'analisi dettagliata dei diciannove articoli di cui è composto, rendendo evidente infine che se l'ideologia gender era da temere il ddl Cirinnà ne era il compimento, il traguardo a cui il mondo lgbt mirava: poter affermare, cioè, che un figlio può nascere da due papà o da due mamme, che ruolo materno e paterno sono intercambiabili, che la distinzione maschile-femminile è irrilevante. Se fosse stata approvata una legge come il ddl Cirinnà affermare l'ovvio, cioè che un figlio può nascere solo da un papà e da una mamma e che i bambini hanno diritto a una figura materna e una figura paterna, sarebbe diventato impossibile e discriminatorio nei confronti dei supposti figli di due papà e di due mamme. Con le conseguenze evidenti nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado. Su La Croce da gennaio abbiamo spiegato che chi si batte per evitare la "colonizzazione ideologica" nelle scuole, deve prima di tutto battersi contro il ddl unioni civili, che di quell'ideologia rappresenterebbe il trionfo. E dalle colonne del giornale in edicola abbiamo chiamato alla mobilitazione, consapevoli che solo il rendersi evidente di una opinione pubblica contraria al ddl Cirinnà ne avrebbe fermato l'approvazione. Alcuni, anche nella gerarchia cattolica, non hanno visto di buon occhio questo nostro attivismo.

Il 26 marzo 2015 la commissione Giustizia del Senato ha adottato il ddl Cirinnà ufficialmente come testo base di discussione con 14 voti favorevoli, 8 contrari e 1 astenuto. Una votazione talmente schiacciante a sostegno del provvedimento che i promotori cominciarono ad annunciarne l'approvazione entro la pausa estiva. Come quotidiano La Croce decidemmo di passare ad una comunicazione più netta ed esauriente sui punti critici di un disegno di legge di cui molti parlavano, ma nessuno lo aveva letto. Siamo stati noi i primi a raccontare, in una diretta televisiva anche piuttosto tesa in cui subimmo insulti pesantissimi, l'imbroglio contenuto nell'articolo 5 del ddl Cirinnà.

La nostra attenzione era stata attirata dal fatto che l'articolo 5 era l'unico senza una titolazione esplicita, tutti gli altri articoli del provvedimento avevano titoli che sono proclami ideologici. L'articolo 5 faceva riferimento ad altre leggi ed era scritto in modo assolutamente incomprensibile. Andando a leggere con attenzione i riferimenti normativi, scoprimmo l'arcano: l'articolo 5, venduto giornalisticamente come introduzione della "stepchild adoption", è in realtà la norma con cui si legittima la pratica dell'utero in affitto. In quella diretta televisiva e poi su La Croce con una serie di articoli scoprimmo gli altarini: un senatore della stessa commissione Giustizia, collega della Cirinnà e presidente onorario di Arcygay, avendo fatto una pratica di utero in affitto negli Stati Uniti, puntava a legittimare la situazione all'anagrafe italiana. Il ddl Cirinnà gli consente di farlo, senza il ddl Cirinnà non potrebbe perché i figli per la legge italiana non nascono da due papà.

Aver svelato questo punto nodale della legge si rivelò un terremoto, la Cirinnà per settimane provò a negare che la sua legge si occupasse di utero in affitto, ma le nostre insistenze la costrinsero a cambiare strategia e oggi propaganda l'articolo 5 come "punto qualificante" della sua proposta di legge. Contro la legittimazione della pratica dell'utero in affitto, da compiere all'estero ma con la garanzia di riconoscimento all'anagrafe italiana, La Croce lanciò una duplice iniziativa: una raccolta di firme per una petizione a livello internazionale con l'obiettivo di portare all'Onu una proposta di moratoria sulla pratica dell'utero in affitto; una manifestazione per il 13 giugno al Palalottomatica, per dare concretezza all'obiettivo che indicavamo sul giornale di una mobilitazione evidente dell'opinione pubblica contraria al ddl Cirinnà. Le due iniziative erano unificate da cinque parole, rubate a Filumena Marturano, che sono diventate il nostro slogan: "I figli non si pagano".

Da quel momento è accaduto tutto molto velocemente. Più il mondo lgbt si faceva aggressivo contro di noi e proclamava accelerazioni sul ddl Cirinnà, più si è fatta evidente la necessità di una risposta unitaria. I vari spezzoni di opinione pubblica organizzata, piccole associazioni e luoghi di elaborazione contrari a quel provvedimento, hanno cominciato a parlarsi. Ci conoscevamo tutti, ognuno era geloso delle sue piccole cose, noi per primi. Ma l'urgenza ha prodotto un miracolo: Manif pour tous, circoli Voglio la mamma, Giuristi per la Vita, Sentinelle in piedi, Notizie Provita, tanti altri luoghi associativi, con la spinta decisiva del Cammino Neocatecumenale e Radio Maria hanno cominciato a ritrovarsi attorno a un tavolo per discutere operativamente. Come quotidiano La Croce accettammo il sacrificio di cancellare l'iniziativa del Palalottomatica per andare verso quella che pareva una follia, decisa il 2 giugno 2015 mentre dal terrazzo dove eravamo riuniti vedevamo passare le Frecce Tricolori: portare in piazza cento volte le persone che si sarebbero ritrovate al Palalottomatica, convocarci a piazza San Giovanni a strettissimo giro, il 20 giugno, perché i senatori sostenitori del ddl Cirinnà annunciavano insistentemente l'approvazione entro la pausa estiva. Nasceva quel 2 giugno il comitato "Difendiamo i nostri figli".

Tanti provarono a ostacolare la manifestazione del 20 giugno, subimmo anche un intenso "fuoco amico", apparve addirittura una lettera (poi smentita) in cui un altissimo esponente della gerarchia ecclesiastica vietava alla diocesi di sostenere l'iniziativa. Papa Francesco però davanti ai vescovi italiani riuniti il 18 maggio aveva parlato di "responsabilità dei laici" su questi temi, senza "vescovi-pilota". Ci assumemmo la responsabilità dei laici anche se io sono da sempre convinto che il vero terreno scosceso di questa difficile battaglia è quello intra-ecclesiale. Discorso che mi porterebbe lontano, ne parleremo poi, in vista del sinodo di ottobre.

Il 20 giugno un popolo immenso si è ritrovato in piazza San Giovanni e ha stupito l'Italia. I quotidiani e i telegiornali, che ci avevano totalmente ignorato fino a quel momento, furono costretti ad aprire le loro edizione con le immagini incredibili di centinaia di migliaia di famiglie, arrivate a proprie spese da ogni parte d'Italia nella piazza simbolo delle mobilitazioni popolari. Noi contammo un milione di persone, la questura disse quattrocentomila. Eravamo comunque tantissimi. Ai piedi del palco, dove ebbi l'onore di spiegare una volta e per tutte l'imbroglio dell'articolo 5 del ddl Cirinnà in un discorso. C'erano alcuni parlamentari, un paio dei quali siedono in commissione Giustizia e da quel momento hanno avuto chiaro che c'era un popolo che consegnava loro un mandato: non far approvare una legge sbagliata, che il popolo italiano non voleva.

La risposta alla mobilitazione di piazza San Giovanni è stata violentissima. Tutti i più importanti giornali, dal Corriere della Sera a Repubblica, da La Stampa e il Fatto, passando per i fogli di complemento come l'Unità, hanno cominciato a martellare con una campagna ossessiva che ripeteva sempre la stessa bugia: ora sulle unioni civili si accelera, saranno certamente approvate prima della pausa estiva. Su La Croce spiegavamo, davvero da soli, che non sarebbe avvenuto e davamo una serie di motivazioni, sia tecniche che politiche. Ci irridevano, qualcuno è arrivato addirittura a fare pubbliche scommesse contro di noi. Talmente era forte la pressione che persino in redazione qualcuno temeva che avremmo perso. Quando poi arrivò una falsa calendarizzazione in aula per l'ultima settimana di attività agostana, c'è chi arrivò a credere che tutto fosse perduto. Noi no. Spiegammo subito dalle colonne del giornale che era una carnevalata e ci spingemmo fino ad esprimere solidarietà alle comunità Lgbt, così platealmente prese in giro dai loro politici di riferimento. In camera caritatis, a chi preoccupatissimo temeva l'accelerazione e in buona fede non comprendeva alcuni trucchi parlamentari non avendoli mai sperimentati, spiegammo che l'unica mossa pensabile era che la Cirinnà rinunciasse a fare il relatore e portassero il ddl in aula senza relatore, ma la cosa non sarebbe accaduta perché per la Cirinnà questa battaglia è personalistica.

Lei non pensa alla sostanza del provvedimento, ma al proprio nome sul provvedimento ed è del 4 agosto la foto della sua mano alzata in aula che vota contro alla modifica di calendario. Se fosse passata la modifica lei avrebbe perso il titolo di relatrice, ma il ddl avrebbe avuto qualche chance in più (la proposta infatti era di Sel). Ma a lei interessano i titoli sui giornali, come a quell'altro che si è inventato il finto digiuno, fin quando il capo non gli ha detto: "Mangia, che del ddl Cirinnà ne parliamo a metà ottobre". E il sottosegretario mangiò. E il capo, Matteo Renzi, se la ridacchiò in un selfie.

Ho ritenuto necessario ripercorrere tutta la storia di questi mesi faticosissimi affinché ne resti traccia e affinché sia chiaro il perché, in due anni e mezzo di iter, il ddl Cirinnà non diventa legge e perde anche la battaglia estiva. Avendo chiare le motivazioni per cui sul ddl Cirinnà stiamo vincendo, avremo una road map da seguire per la fase autunnale che ci dovrà vedere protagonisti. Bisogna avere chiaro i terreni su cui muoverci:

1. Terreno informativo. Il confronto sul ddl Cirinnà ha contorni orwelliani. I mass media sono completamente imperniati sul pensiero unico: radio, televisione, carta stampata ripetono un solo verbo. I grandi giornali in particolare adottano una strategia che non racconta i fatti, punta a determinarli. Le paginate in cui con insistenza raccontavano con assoluta certezza che il ddl Cirinnà sarebbe stato approvato prima della pausa estiva andrebbero raccolte come prova della vergogna del giornalismo all'italiana, ideologico e a tesi, privo di qualsiasi rapporto con i fatti e le notizie. Con La Croce abbiamo fornito quotidianamente un antidoto, raccontando quel che stava accadendo davvero. Da soli. Ora sarà chiaro perché in tanti esultarono, dopo aver sparato per mesi ed era anche fuoco amico, quando siamo stati costretti a rinunciare alla versione cartacea. Eppure, anche con un quotidiano solo digitale, siamo stati capaci di dare ogni giorno fastidio. Ora il nostro obiettivo è tornare in edicola, servono milioni di euro, ma ci stiamo dando da fare: il prossimo anno sarà decisivo e serve uno strumento anche cartaceo che presidi tutti i giorni il terreno informativo, luogo strategico di questa battaglia.

2. Terreno parlamentare. La manifestazione di piazza San Giovanni ha dato forza ai parlamentari che condividono le idee di quel popolo, alcuni dei quali sono stati decisivi nella battaglia in commissione Giustizia al Senato. Penso a parlamentari di opposizione come Malan e di maggioranza come Giovanardi. Altri sono stati meno netti. Ma la novità, ed è una novità su cui La Croce ha insistito molto anche per dare forza a chi doveva cercare il proprio coraggio, è che un'area anche del Partito democratico è uscita allo scoperto. Proprio sull'articolo 5, vera vergogna del ddl Cirinnà, quattro senatori del Pd sono esplicitamente latori di proposte alternative. Altri seguiranno. Nelle riunioni riservate parlavo dei miei contatti con cinque senatori Pd intimamente contrari al ddl Cirinnà. Credo che alla fine saranno molti di più.

3. Terreno associativo. Il comitato "Difendiamo i nostri figli", promotore della manifestazione di piazza San Giovanni, è diventato permamente e si sta strutturando a livello territoriale. Ha avviato una raccolta di firme contro il ddl Cirinnà e parallelamente procede l'attività di tutte le associazione che nel comitato hanno esponenti loro rappresentanti. Credo sarà necessario lavorare anche per preparare una nuova manifestazione autunnale, senza la mobilitazione popolare esplicita e permanente si rischia di fare passi indietro.

 

4. Terreno governativo. Matteo Renzi non vede il ddl Cirinnà come una priorità e sarà bene monitorare le sue mosse. Ha sempre calciato la palla lontano e il rinvio a ottobre del provvedimento è certamente passato da una sua decisione, peraltro annunciata pubblicamente all'assemblea nazionale del suo partito davanti al digiunante Ivan Scalfarotto. Quando Renzi ha davvero a cuore qualcosa, vedi recentissima lottizzazione della Rai con la tanto vituperata legge Gasparri, non ha timore a procedere con veri e propri blitz. Il blitz annunciato più volte da Repubblica e Corriere della Sera a favore del ddl Cirinnà non è mai stato compiuto. Di più: quando ha annunciato il rinvio a ottobre, non ha mai chiamato quel disegno di legge con il nome della relatrice, per evitare di citarla. Cosa che ha mandato la Cirinnà su tutte le furie. E l'anno scorso Renzi voleva accantonare del tutto la legge, come abbiamo raccontato, procedendo con iniziativa governativa. Poi ha rinunciato anche a quella. Tutti passaggi che vanno colti. Sapendo, ovviamente, che anche Renzi è un politico e dunque se dovesse trovare conveniente l'approvazione del ddl Cirinnà, lo farà approvare. Dobbiamo continuare a far essere non conveniente tale approvazione.

5. Terreno Lgbt. Le comunità Lgbt sono nostre avversarie in questa dialettica sul ddl Cirinnà, ma io non riesco a non provare una qualche empatia quando vengono prese così platealmente in giro dai loro politici di riferimento. Alcuni, penso ad Aurelio Mancuso, si sono lamentati platealmente e pubblicamente. Altri si ostinano a sostenere Monica Cirinnà, fingendo di non vedere la battaglia tutta personalistica che sta combattendo, persino a danno del suo stesso provvedimento, perché le interessa il successo personale, non l'approvazione della legge. Dovremmo chiedere tutti, persino con i nostri avversari, una politica trasparente capace di non imbrogliare i cittadini, con assunzione piena di responsabilità. Non accadrà. La cosa sta già facendo scoppiare le contraddizioni interne alle stesse comunità Lgbt: Cirinnà e Scalfarotto vedono scoperto il loro gioco e sono oggetto di durissime critiche. I personalismi non pagano. La base sociale che sostiene quel brutto provvedimento che è il ddl Cirinnà, già esile, si sta sgretolando.

Scusate la lunghezza, ma era necessario prima di tutto per me stesso dare chiarezza ad alcuni pensieri. La battaglia autunnale sarà lunga e complicatissima. Quella estiva, contro tutto e contro tutti, l'abbiamo vinta noi. Spero ora sia evidente sia il come che il perché. Non dobbiamo far altro che elaborare questi dati e continuare così. A difesa della Costituzione, del nostro diritto di famiglia vigente, dei nostri figli (di Mario Adinolfi).

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