Se si guarda al Sinodo la partita sembra a squadre: da una parte gli "ortodossi" e dall'altra i "modernisti". A buttare acqua sul fuoco ieri c'ha pensato il cardinale ungherese Peter Erdö, ma il caso Charamsa è ancora caldo e rischia di scatenare ancora le fiamme. IntelligoNews ha intervistato Clément Borioli ex-portavoce della Manif Pour Tous francese che ci racconta la sua omosessualità e la sua fede cattolica. Ne scaturisce un appello al Papa.
Alla luce delle dichiarazioni di mons. Charamsa - il quale ha chiesto la “revisione della dottrina” sui gay e di conseguenza sull’istituto familiare, e poi ancora ha accusato la Santa Sede e in modo particolare la Congregazione della Dottrina della Fede di “omofobia” - riemerge come in uno specchio limpido l’omelia tenuta da Benedetto XVI ai primi vespri in occasione della chiusura dell’anno paolino, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo. Il testo ricordava la giusta interpretazione della fede in rapporto al Magistero, per non cadere negli errori che “sporcano” in modo violento la veste nuziale della Sposa di Cristo. Ancora non si trova una spiegazione logica in “cosa” la Chiesa debba cambiare per “soddisfare” le voglie dell’io, trasformate in diritti inalienabili dell’uomo. E’ il tranello del relativismo, che ha portato il teologo a confondere i propri sentimenti con il Vangelo:
È tra gli iniziatori di Manif pour Tous, la “Manifestazione per tutti”, movimento di opposizione al “matrimonio per tutti” portato avanti dal governo di François Hollande. Ora scrive: «Io, omosessuale, vi spiego perché la Chiesa Cattolica ha ragione». Francese, scrittore di successo, filosofo, cantante, blogger, critico d’arte, saggista, insegnante di spagnolo. Personalità eclettica ed affascinante, profonda, poliedrica e paradossale, Philippe Ariño, dentro una serena calma ed un’immagine di sé inoffensiva, dimostra una forza ed un’energia incontenibile, che interroga con semplicità evangelica chiunque lo incontri, di qualunque orientamento sessuale, politico o religioso sia. Perché Philippe non nasconde la propria omosessualità, ma la pone in una luce completamente diversa rispetto agli stereotipi che la proposta LGTB sbandiera.
Un fantasma s’aggira per l’Europa, soprattutto per l’Italia: è quello dell’«ultracattolico», creatura misteriosa inventata dalla cultura dominante – e dal giornalismo che ne è saldamente al guinzaglio – e che incarna la perfetta sintesi di tutte le nefandezze culturali: oscurantismo, razzismo, sessismo. Ancora non è chiaro come un «ultracattolico», nel civilissimo panorama europeo, possa circolare liberamente anziché essere in manette, considerate le follie che ha in mente: eppure è così, ammettono sconsolati i liberi pensatori che popolano università e redazioni. Al di là dell’aspetto indefinito – l’«ultracattolico», pare di capire, ha molti volti, dal militante di estrema destra, idealmente manesco e muscolosissimo, un’autentica macchina da guerra, alla vecchina curva e devota – la caratteristica principale di questo soggetto è una, vale a dire una dissennata nostalgia per il Medioevo, epoca di orrori al cui confronto il Novecento, con due Guerre Mondiali, il nazionalsocialismo e decenni di comunismo, viene presentato come banale lite di condominio. Altro elemento tipico dell’«ultracattolico», assicurano, è il fatto di credere che la verità, anche morale, esista.
Da qualche giorno si è concluso lo storico viaggio di Papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti. L’accoglienza riservata al Successore dell’Apostolo Pietro, ha mostrato il volto della Chiesa in cammino nella storia, sotto la guida del Pastore supremo. Tantissime le luci che hanno accompagnato il Santo Padre, a cominciare dai piccoli gesti concreti, fino ai grandi pronunciamenti che hanno riguardato la libertà religiosa, la famiglia, l’ambiente, la pena di morte, il rispetto della vita, l’immigrazione, e la persecuzione dei cristiani e delle minoranze. Il corposo magistero pontificio pronunciato nei vari discorsi e omelie, è fonte privilegiata da cui attingere, per strutturare programmi pastorali capaci di superare la “globalizzazione dell’indifferenza”, e proiettare la comunità cristiana verso quelle periferie bisognose della presenza di Dio. La “chiesa in uscita”, ha tanti testimoni, che nel tempo hanno dato un contributo essenziale alla “missione”, di portare Cristo nei luoghi più impervi e ostili.